Home I lettori ci scrivono Esempi di mobbing orizzontale ai danni di una collega di sostegno

Esempi di mobbing orizzontale ai danni di una collega di sostegno

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Ho vissuto l’anno scolastico appena conclusosi (2001/2002) in una condizione di mortificazione e disagio all’interno della scuola Potter. Le azioni mobbizzanti hanno avuto luogo per cause a me ignote, sicuramente non dipendenti né dalla mia volontà, né dalla mia condotta, sempre corretta e adeguata, né tantomeno dal mio operato. Si trattava quindi di una strategia di offesa attentamente e scientemente coordinata che, dissimulata da iniziative preordinate tese a squalificare il mio ruolo e il mio operato, o attraverso azioni e messaggi di relazione che andavano direttamente a colpire la persona in quanto tale (probabilmente per la mia preparazione), per invidia o perché vista come scomoda in quanto non mi allineavo supinamente a ogni decisione effettuata dal “gruppo di comando”.

Ecco, in sintesi e, a scopo esemplificativo, le condizioni di lavoro che hanno determinato il senso di afflizione cui ho fatto cenno in premessa. In altre parole: Isolamento umano e, per quel che riguarda uno dei moduli (all’epoca esistevano i moduli composti da 3 insegnanti che operavano su 2 classi), anche didattico, con esclusione da tutto ciò che riguarda un certo tipo di informazioni.

Alcuni esempi:

Il primo giorno di scuola seguivo l’alunna audiolesa affiancata dall’accudiente che aveva la copertura completa dell’orario, a seguito di disposizioni della cooperativa dalla quale la stessa dipendeva.

Si avvicina l’insegnante Labionda e comincia ad urlare dinanzi ai bambini: “Cosa vi siete messe in testa voi due? Che dovete stare insieme entrambe con la bambina? “

Io ero lì a svolgere il mio lavoro di insegnante indipendentemente dall’accudiente che non ero stata certo io a nominare né a chiamare. Mi fece passare come una lavativa che vuole in qualche maniera lavorare meno approfittando della presenza dell’assistente.

A questo proposito voglio precisare che ho sempre svolto il mio lavoro diligentemente, con serietà come potrebbero confermare coloro che hanno insegnato con me in tutti gli anni di servizio (dall’’82).

La madre di una bambina frequentante una delle due classi all’interno delle quali svolgevo il mio lavoro di insegnante di sostegno, si è ammalata, tanto che la bambina non ha frequentato la scuola per un mese.

Quando ho chiesto come mai non stesse frequentando, mi è stato risposto dalle “colleghe” del modulo che non lo sapevano.  Addirittura dall’assistente polivalente operante nella classe, comunque non facente parte del team di insegnanti, ho invece appreso che la circostanza doveva essere taciuta all’insegnante di sostegno per” tutelare la privacy bambina”, quasi come se l’ins. di sostegno non facesse parte del modulo o fosse comunque vista come persona inaffidabile, tanto da poter danneggiare col proprio comportamento,  l’alunna.

Se io non mi fossi regolarmente fatta avanti per avviare, pur con risultati pressoché nulli, forme di collaborazione giornaliera, nessuno mi avrebbe rivolto la parola. L’isolamento, la noncuranza e la disconferma erano quotidiane e costanti.

Non sono mai stata contattata, specialmente dal modulo di quinta (INSS. Lamora–Labionda), per decidere su uscite, mostre, rappresentazioni di fine anno o altro.

Devo precisare che la scelta degli argomenti e delle attività per una classe ove sia presente un audioleso (e non solo), dev’essere necessariamente operata di concerto con l’insegnante specializzato, il quale può consigliare contenuti più idonei e modalità di partecipazione maggiormente confacenti alle capacità dell’alunna.

Ero costretta ad acquisire informazioni solo dall’accudiente della bambina audiolesa da me seguita.  A questo proposito voglio raccontare un episodio.

 In autunno l’accudiente della bambina audiolesa (le mie colleghe non mi rivolgevano la parola quindi non mi informavano di nulla) mi comunicò che nei giorni seguenti le classi si sarebbero dovute recare a T. per visitare la mostra di Monet e che aveva appreso dalle insegnanti che io e lei, come accudiente, avremmo dovuto partecipare. Così fu.

Al rientro da T., dinanzi al piazzale della Stazione, le due insegnanti mi comunicano che, sia io che l’assistete, dovevamo versare una quota ammontante a circa 20.000 lire pro-capite (dell’epoca), in quanto l’ingresso gratuito era previsto unicamente per le insegnanti di classe.

Un’altra volta apprendo, sempre dall’accudiente, che è intenzione delle insegnanti condurre gli alunni delle quinte al teatro, per assistere ad una rappresentazione. Immediatamente mi reco dall’ins. Labionda, la quale mi ribadisce che sono previsti unicamente due ingressi gratuiti e che, pertanto, io, per poter accompagnare la classe, mi sarei dovuta pagare il biglietto di tasca mia.

Di fatto mi è sempre stato imposto di pagare il biglietto per l’ingresso nei musei (anche quello alquanto costoso per una celeberrima galleria)

Non commento l’accaduto perché si commenta da sé.

Un altro giorno ero nelle due quinte unificate, mentre l’ins. Lamora “curricolar/istituzionale” (così si definiva quando si rivolgeva a me) era fuori dall’aula. Con me c’era l’assistente della bambina audiolesa.

Quando Lamora, tornata in aula, sentendo che facevo una “paternale” ai bambini per il loro comportamento inadeguato, ha proseguito dicendo:- “Dovete rispettare l’ins. di sost., perché è un adulto ed un operatore scolastico,  esattamente come l’accudiente (testuali parole). Anche se l’ins. di sostegno non vi può mettere i voti sul registro, dovete ugualmente averne rispetto, come ne avete per i bidelli!”

Sempre riferendosi all’assistente, altre insegnanti (Donnona e Gattamorta) erano solite dirmi : “la tua collega”.

Ho appreso ufficialmente della rappresentazione di fine anno solo pochi giorni prima che la stessa avesse luogo e dietro mia formale domanda, poiché avevo notato che vi erano delle prove in corso (ero stata deliberatamente tenuta all’oscuro di tutto).

È stato più volte detto e ribadito, a muso duro davanti a bambini e in maniera perentoria, che l’insegnante di sostegno non deve rivolgere la parola all’insegnante di classe durante le lezioni.

L’insegnante di sostegno, a detta delle inss. Lamora e Labionda, può interloquire con le insegnanti curricolari che si sono auto definite “istituzionali” solo formalmente, nelle occasioni e nelle sedi deputate.

Devo precisare che un temperamento mite, accomodante qual è il mio,  cui si accompagna un atteggiamento aperto e disponibile, non avevano mai creato in precedenza, in altri contesti scolastici,  situazioni di conflitto o di attrito (insegno dal 1982), per cui quest’imposizione di “paletti” all’insegnante di sostegno appariva quanto mai inopportuna, offensiva e finanche incivile.

A questo proposito rammento una circostanza durante la quale io, avendo necessità di formulare comunicazioni molto urgenti ad una di queste insegnati del gruppo di comando, che aveva il ruolo di fiduciaria di plesso (Lamora), mi recai sull’uscio della classe della medesima che raggiuntami (era presente anche la collega di sostegno ins.  Partenopei) mi disse, in malo modo, sbraitando scompostamente davanti all’intera classe, che lei in quel momento aveva da fare e, incurante del fatto che alla scena assistessero gli alunni della classe di cui ero contitolare, mi sbatté la porta in faccia con veemenza.

Le comunicazioni tra le insegnanti modulari (c.d. istituzionali), dei diversi moduli, erano invece molto frequenti (non avvenivano nelle sedi deputate, ma nei corridoi tra lazzi e schiamazzi in ogni momento della giornata e oltre ), al punto che insegnanti di un modulo erano informate sulle iniziative dell’altro modulo; informazioni che io stessa, pur essendo interna ad entrambi i moduli, ignoravo.

Queste insegnanti si definiscono insegnanti istituzionali, da non confondersi con le insegnanti di sostegno che, se ne deduce, non essendo istituzionali non possono rappresentare l’istituzione scolastica. Pertanto, tutto ciò che riguarda gli alunni diversamente abili deve innanzitutto passare al vaglio delle insegnanti “istituzionali” prima che possa occuparsene l’insegnante di sostegno (parole delle inss. Lamora e Labionda), la quale non deve, parole loro, intrattenere rapporti autonomamente con i genitori dell’alunno diversabile ., mentre la L. 104 nonché la normativa che da essa discende, include tra le attribuzioni del’ins. di sostegno anche quella di curare i rapporti con i genitori dell’alunno diversamente abile nonché con gli operatori socio sanitari coinvolti nei processi di integrazione dello stesso alunno. A nulla servivano i miei tentativi di fare simili precisazioni o quanto meno di avviare un confronto paritetico di chiarimento. Tanto che, durante le riunioni di sintesi, alla presenza degli stessi alunni in difficoltà, venivo fatta segno di smaccate espressioni di squalifica e disconferma, che non sto qui a riportare per non tediarvi. Il Preside faceva lo “gnorri” in quanto amico delle suddette, alle quali aveva delegato completamente la gestione della scuola, per potersene disinteressare totalmente.

Queste colleghe definiscono pubblicamente durante le riunioni il sostegno come “un servizio per sollevare loro dal problema dell’alunno disabile ”, ignorando i principi dell’ interscambiabilità dei ruoli, della pari dignità e contitolarità o della  valorizzazione delle reciproche competenze.

A questo punto occorre fare una precisazione. Va da sé che l’insegnante di classe debba esser assolutamente compartecipe dei problemi riguardanti il diversamente abile (Ci mancherebbe altro!) presente nella classe. Non disinteressarsi totalmente dell’aspetto didattico delegando tacitamente questo all’insegnante di sostegno, per poi entrare in scena come supervisore quando c’è da produrre un atto formale, nelle riunioini di sintesi o di interclasse,  semplicemente per giudicare inopinatamente il suo operato senza però che l’altra possa fare altrettanto nei suoi confronti. Questo è ciò che avveniva nelle classi della scuola Potter.

Queste insegnanti con l’espressione sostegno alla classe, riferito all’operato dell’insegnante di sostegno, vogliono, in mala fede, stigmatizzare il ruolo di una persona subalterna che deve eseguire le direttive delle insegnanti di classe, non potendo ricoprire, di fatto, non certo “a parole”, un ruolo paritetico.

L’insegnante Dentona mi chiese un giorno con fare beffardo e provocatorio  come mai non mi licenziassi per farmi mantenere da mio marito. Questa domanda serbava un messaggio dissimulato (neanche poi tanto) di svalutazione, come dire: “dal momento che il tuo lavoro non è di alcuna utilità, perché non te ne stai a casa, tanto è lo stesso?”

La stessa insegnante, raccontò in pubblico che sua sorella era fidanzata con un meridionale (come me), il quale però, grazie a Dio, si era civilizzato durante gli anni dell’università trascorsi a Bologna. È il caso di precisare che io sono pugliese e che in quel momento ero l’unica meridionale tra i presenti.

Chiesi di poter seguire la bambina audiolesa il venerdì pomeriggio (volevo seguirla durante un laboratorio di scienze per mostrarle gli esperimenti), anziché il mercoledì pomeriggio, comunicandolo debitamente agli interessati – tra i quali Lamora e Labionda- i quali acconsentirono.

Dopo circa una settimana fui affrontata, senza nessuna spiegazione plausibile,  nei corridoi proprio dall’ins. Lamora e dall’ins. Labionda che con fare aggressivo, inurbano e minaccioso mi dissero che, se non avessi voluto eliminare questa piccola modifica all’orario che, preciso, non avrebbe comportato disagio per nessuno, sarebbero andate dritte dal Dirigente (sottolineando che era un loro amico personale di vecchia data) per proporre un’azione disciplinare nei miei confronti. Risposi loro che non era necessario formulare minacce con tanta arroganza, per giunta di fronte agli ausiliari e ai bambini e che il cambio d’orario rappresentava semplicemente un esperimento e che si poteva tranquillamente ritornare alla soluzione d’orario precedente. Come poi avvenne immediatamente.

Si erano rivolte a me come a un sottoposto da redarguire affinché non prendessi iniziative, ma ubbidissi a quando doveva essere da loro disposto.

Successivamente avvenne che una comunissima interclasse si trasformasse in un processo ai danni di noi due inss. di sostegno (pugliese e partenopea), ree forse di aver realizzato un progetto di psicomotricità. Infatti i progetti essendo iniziative qualificanti sono appannaggio esclusivo delle inss di serie A (istituzionali), senza tener conto che le inss. di serie B hanno dovuto, per diventare tali, sostenere un duro biennio di studi ( 16 esami + 2 relazioni + una tesi) e molto altro aggiornamento . Ma quella delle distinzioni tra a e b è solo un pretesto.

E’ semplicemente assurdo e vergognoso che delle colleghe possano arrogarsi il diritto, sine titulo, di giudicare la professionalità di altre colleghe, come ha fatto Ladentona nella circostanza innanzi citata.

Nei giorni immediatamente seguenti, ho vissuto altre gravi umiliazioni:

l’ins Labionda, alla quale nei giorni degli scrutini avevo ripetutamente chiesto di firmare il registro di sostegno, un semplice atto formale, come dimostrazione di aver compartecipato alla stesura del P.E.I (che, peraltro, ho completamente scritto da sola, perché loro non avevano tempo e non volevano darmi ascolto), ha risposto di essere molto impegnata e  che sarei dovuta ritornare il giorno successivo (come se fossi alle sue dipendenze). Due giorni dopo ha finalmente acconsentito a firmare, ma prima ha voluto leggere il registro da cima a fondo, in due giorni diversi prima di firmare. Va da sé che io, invece, non ho mai avuto né avrei mai potuto avere accesso al suo registro, come neanche a quelli delle altre colleghe e tanto meno firmarlo.

La dentona, invece, dopo aver a sua volta letto per intero il mio registro, ha duramente contestato in modo del tutto arbitrario, incoerente e incomprensibile il contenuto delle mie valutazioni relative all’alunno in difficoltà, pur senza essersi mai interessata allo stesso, alla programmazione dello stesso e senza aver condotto mai interventi diretti sullo stesso. Tant’è che ero io stessa ad aggiornarla su quanto facevo per lo stesso alunno, dal momento che l’insegnante non mi chiedeva mai nulla a tal riguardo.

Alla stessa insegnante, che era intenta, durante gli scrutini a valutare i propri alunni insieme con le colleghe di modulo, chiesi di poter partecipare, come contitolare a dette operazioni. Mi rispose che se proprio volevo fare qualcosa di utile sarei dovuta andare a farle delle fotocopie e il caffè. Alle mie timide e pacate rimostranze rispose che se avessi continuato a parlare mi avrebbe fatto “volare dalla finestra”.

La donnona, infine, che quel giorno non era neanche in servizio (doveva rilevare sua figlia da scuola), mi ha chiesto di lasciarle il registro in consegna per il fine settimana perché doveva portarselo a casa sue per  leggerlo attentamente prima di decidere se firmarlo o meno.

Non si comprende come, secondo quanto affermavano queste docenti, se l’ins. di sostegno non può firmare i registri degli insegnanti di classe, come mai questi ultimi dovrebbero firmare quello dell’ins. di sostegno, non per dimostrare la condivisione delle scelte didattiche ma per approvarle e avallarle in qualità di supervisori.

Vi ho dato solo qualche saggio delle azioni mobbizzanti che ingenerarono in me un senso di profonda mortificazione, il cui semplice ricordo mi procura ancora oggi molta sofferenza.

(ATTENZIONE: i nomi sono stati sostituiti con altri di pura fantasia e non viene menzionata né la località né il nome della scuola)