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Garantire integrazione e inclusione

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Leggo con grande dispiacere e preoccupazione che “il virus corre velocemente come un anno fa”, “gli ospedali in alcune città sono al collasso”, sono state decretate zone rosse in cui si è dovuto ricorrere legittimamente persino alla “chiusura di nidi e servizi per l’infanzia”.

….e poi un trafiletto, (una chicca), conclusivo, che riporta: “Resta garantita la possibilità di svolgere attività in presenza per gli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali per garantirne l’integrazione e l’inclusione”.

Necessito di un supporto chiarificatore della suddetta affermazione. 

Integrazione e inclusione (due meravigliose parole), implicano nella lingua italiana:

“Aiutare ad essere parte di un contesto”, laddove è compito della scuola far si che ogni alunno della classe si senta parte integrante di un gruppo. Le classi, i ragazzi devono avvicinarsi gli uni agli altri e sentirsi di appartenere ad una comunità più ampia. Questa comunità (composta anche dai docenti tutti), insegnerà a condividere le proprie esperienze con gli altri, a comunicare adeguatamente, a unirsi a collaborare per superare pregiudizi”.

Ora riportando e attualizzando questa oggettiva lettura, al contesto recente, al presente, i dubbi sono davvero molteplici.

Per un alunno che si reca in una scuola deserta, (se non corredata della sola presenza del docente di sostegno e dei collaboratori scolastici), una scuola davvero raccapricciante perché priva del profumo di adolescenza, dell’essenza delle grida, delle risate, dei pianti… in una scuola dove non ci sono suoi pari che sorta di integrazione e inclusione dovrebbe realizzarsi? 

Dov’è il gruppo nel quale calarsi e confrontarsi? Manca la materia prima.

Anzi, al contrario, il messaggio che passa in questo modo è duplice, per l’alunno e per la classe, ma sortisce uguali conseguenze: “sei diverso/è diverso, hai/ha un trattamento speciale”.

Questo per me, non significa includere, questo significa alzare un muro, una barriera, una distanza mentale tra l’alunno e i suoi compagni di classe. Significa alimentare stereotipi e credenze popolari difficili poi da scalfire e da far cadere.

Amo ricordare uno slogan degli anni 70: “No alle classi speciali” E invece alla prima emergenza importante, troviamo subito l’occasione di tornare indietro di 50 anni. Che popolo bizzarro siamo.

Se poi, insito tra le righe c’era l’intenzione (meritevole), di lasciare aperta la scuola agli alunni che oggettivamente hanno difficoltà a collegarsi da remoto per assenza di strumenti e strumentazione idonea da casa, allora il discorso cambia. Seppur ritengo che in questo delicato momento storico e in questa casistica, sia lo Stato a doversi far carico e ad attivarsi per fornire in loco, (a casa), tutto il necessario per poter permettere a questi ragazzi di lavorare al pari degli altri…. “rimuovendo gli ostacoli che di fatto impediscono la piena realizzazione dell’individuo, (Costituzione italiana) e non delegando ma sottolineo rimuovendo, potrei anche condividere la buona intenzione di chi ha emanato, (con buona pace di chi ha sottoscritto), la precedente normativa.

Però, in questo caso, se è questa la nobile motivazione, allora, cosi come negli scorsi mesi di chiusura delle scuole, i docenti hanno dovuto presentare un’autocertificazione in cui dichiaravano di avere un minore di 16 anni a casa da solo in Dad e che abitavano ad una distanza dalla scuola tale da dover affrontare un viaggio rischioso, il tutto per poter essere autorizzati ad effettuare i collegamenti con la classe da casa e in assenza dei suddetti requisiti sono stati obbligati a recarsi a scuola per collegarsi da un pc alla classe in dad, (paradossale)…

Allo stesso modo devono richiamarsi a pari senso di responsabilità i genitori.

Per cui i genitori devono essere invitati a produrre un’autocertificazione (soggetta a controlli a campione e a sanzioni), in cui dichiarano sotto la propria responsabilità che richiedono la frequenza a scuola per i propri figli, in quanto, oggettivamente gli stessi non hanno adeguata strumentazione a casa per collegarsi regolarmente alle lezioni.

Senso di civiltà e responsabilità reciproca. Si chiama collaborazione scuola famiglia per il bene prevalente dei ragazzi. E una cosi importante richiesta, in questo momento di una delicatezza unica nei tempi in cui l’interesse prevalente da tutelare dovrebbe essere quello della salute che implica il restare a casa in ogni modo, la richiesta deve essere motivata solo e soltanto per “assenza di strumentazione adeguata a casa” che impedirebbe l’integrazione (collegamento) con la classe e non per altre ragioni, quali ad esempio “far uscire il proprio figlio, farlo respirare”… perché in tal caso, e in questo momento drammatico, quest’ultima si palesa come una necessità secondaria, non prevalente e … spetta a noi genitori, non ai docenti, farcene carico…gli insegnanti non sono dame di compagnia.

Inoltre gli stessi genitori si facciano carico di educare i propri figli che a scuola non devono e non possono abbassare la mascherina, non devono e non possono toccare, prendere per mano, abbracciare il docente.

Lo Stato delega, la scuola delega, la famiglia delega e alla fine tocca a noi docenti farci carico di tutto.

Che si faccia chiarezza, dunque, a stretto giro sulla normativa, altrimenti si presta a qualsiasi strumentalizzazione e manipolazione per interessi individuali. Solo cosi la scuola forse potrà ritornare ad essere davvero un luogo serio e rispettato, un luogo di aggregazione, integrazione, cultura…altrimenti assurgerà sempre più a ridicola sede polivalente di/e prevalente “parcheggio/assistenzialismo”, assumendosi compiti che non le competono ma che dovrebbero essere appannaggio esclusivo dello Stato Sociale.

Lettera firmata