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Gli open day e le domande degli studenti che nascondono ansie e preoccupazioni

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E’ ripartita in questi giorni la tradizione degli open day, delle vetrine, degli incontri per accompagnare i ragazzi ed i loro genitori delle scuole medie alla scelta della scuola superiore più adatta alle proprie attitudini, passioni, sensibilità, preparazione di base.

In questi incontri, è vero, continuano a dominare le domande sulle tipologie di indirizzi, sulle prospettive post-diploma, sulle varie sedi e sulle loro logistiche, compresi i trasporti, la presenza delle Lim, i progetti extra.

E’ normale che sia così. Ma da qualche anno vedo, invece, che queste domande in realtà mascherano altre ansie, altre preoccupazioni, alle domande.

Chiedono insistentemente, invece, sugli aspetti educativi, al di là dei diversi indirizzi di studio, cioè sulle forme di accompagnamento e, magari, sull’ambiente equilibrato e sulla qualità e stabilità dei docenti.

Sono cioè cambiati i segni dei tempi.

Certo, se trovano un ambiente esteticamente accogliente, sicuro, aperto, pieno di proposte anche tecnologiche, è ovvio che si sentono soddisfatti e non hanno dubbi sulla scelta per il loro figlio/a.

Ma sono aspetti non decisivi: conta prima di tutto quel contesto di sicurezza educativa, che faticano invece a ritrovare negli altri ambienti sociali.

Tanto per dire: nemmeno le tecnologie per loro, in fondo, sono l’essenziale, nemmeno certe aule super attrezzate. Anzi, se a scuola ci fosse un po’ meno tecnologia, visto l’imperio di cellulari e altro, non sarebbe per loro un problema. La scuola, cioè, come zona franca, mentre è giusto che la scuola stessa si faccia luogo educativo anche su questo tema.

Le famiglie chiedono, dunque, che i loro figli vengano accompagnati a tutto tondo verso la maturità, con equilibrio e con una buona preparazione culturale di base.

In fondo, lo sappiamo bene: la scuola oggi è l’unico contesto trasversale della società contemporanea, l’unico luogo di incontro delle diversità, il primo interlocutore, a volte l’unico, delle famiglie (dei tanti tipi di famiglia), le quali vivono sempre più l’adolescenza dei propri figli come una scommessa.

Perché sanno che niente è scontato, che nessun principio di autorità può essere invocato, che nessun valore può essere semplicemente presupposto per poi essere solo trasmesso. E, sul piano formativo, il vero trampolino di lancio verso il presente e futuro dei loro figli.

E i nostri ragazzi?

Vorrei rassicurare tutti, al di là di certe opinioni che vanno per la maggiore.

Sono migliori di come di solito vengono dipinti. Solo che hanno bisogno di essere conosciuti e riconosciuti, anche nei loro limiti. Con adulti significativi che parlino anzitutto attraverso i comportamenti. Per una pari dignità che non cancelli, però, le diversità di ruolo, essenziali oggi come non mai.

La scuola, dunque, oggi è lo strumento di crescita e di relazione inter-generazionale, vero motore sociale.

Ma può questo suo rinnovato ruolo solo se si pone come “casa di tutti”, la quale non ha lo scopo di selezionare i “migliori”, ma, più concretamente, di fare in modo che emerga in tutti “la loro parte migliore”.

Lo ripeto: non i migliori, ma la parte migliore di se stessi.

La cosa, se vale per loro, dovrebbe valere anche per noi. Ma tant’è, vedendo certe situazioni e seguendo certi dibattiti pubblici.