
“Andate a votare”, dicono i promotori dei 5 referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno; “andate a mare” dicono invece quelli del Governo, mentre tanti media tacciono sia su questa problematica (votare o no) e sia sull’intero marchingegno legislativo che si intende abolire; ma spesso riportano pure notizie frammentarie, nell’intenzione, ormai poco celata, di evitare che gli elettori si rechino alle urne per non raggiungere il quorum del 50% degli aventi diritto, imbrogliando le carte o confondendo le idee.
Fermo restando che i politici, da loro punto di vista, devono portare acqua al loro mulino, tranne a lamentarsi quando la gente non si reca alle urne per le elezioni politiche o amministrative, stracciandosi le vesti poi per la mancata partecipazione democratica, si dimentica pure che la politica astensionistica inscenata contro i referendum è un pericoloso esempio negativo per le giovani generazioni.
E in modo particolare per coloro che per la prima volta devono entrare in una cabina elettorale per esercitare il loro diritto-dovere al voto, i quali per lo più sono alunni ancora su banchi di scuola, delle quinte classi. Anche loro, infatti, dovranno esercitare uno dei dettami democratici più delicati e importanti sanciti dalla Costituzione.
Tuttavia, se per un verso a scuola si fa loro studiare “Educazione alla cittadinanza”, attorno a cui un po’ tutti i ministri all’istruzione hanno fatto riferimento, e il cui principio fondante è proprio l’esercizio della democrazia, compreso l’uso del referendum (la prima Repubblica fu infatti battezzata dal referendum del 2 giugno 1946), dall’altro, e in modo particolare da parte dei poteri forti dello Stato, viene invece l’invito a disertare le urne, a fregarsene e al dovere civico preferire il mare e il sollazzo con Lucignolo.
Una contraddizione di termini che contribuisce a sbandare i nostri alunni, a smarrirli, a metterli in condizione di considerare, sia la materia in sé, sia la partecipazione alla vita pubblica e democratica una sorta di inutile perdita di tempo, negando, sul campo, il valore della voce popolare che sui libri e sulla parola del docente era sembrata il fondamento della “Repubblica democratica” fondata sul lavoro.
Ma ancora di più. Come dovrà giustificarsi il docente di “Educazione civica” che, dopo avere illustrato il diritto e i doveri democratici dei cittadini, si vede contraddetto proprio dalle cariche più importanti dello Stato?
Se l’invito a contraddire i testi studiati a scuola viene dai partiti, si può anche capire, ma che venga da chi è stato eletto coi voti popolari, ricoprendo cariche importanti, appare fuorviante per i giovani.
Invece, sembrerebbe del tutto normale che lo stesso ministro Valditara, il quale ad ogni occasione fa valere il suo impegno per l’istruzione, si rivolgesse proprio a quegli alunni che per la prima volta hanno la possibilità di votare, e li invitasse a fare il loro dovere nelle urne e nello stesso tempo, oltre a ringraziare i prof per il lavoro che svolgono su questo versante, dimostrasse in modo intangibile la sua vicinanza, augurando agli alunni un voto referendario coerente con la disciplina studiata e soprattutto un ringraziamento per il diritto dovere che stanno mettendo in pratica.