
Dall’Unità d’Italia, al Risorgimento e alla Prima guerra mondiale, questi, secondo il ministro dell’Istruzione, i contenuti storici che andrebbero valorizzati e trasmessi alle nuove generazioni esaltandone i valori: “Sono profondamente convinto – ha detto Valditara – che conoscere e approfondire il Risorgimento, la Prima guerra mondiale e il ruolo fondamentale delle forze armate nel percorso di costruzione dell’Unità nazionale significhi rafforzare una memoria collettiva che sta alla base dell’identità del nostro Paese”.
Che possono essere linee guida storiche condivisibili, capire meglio cioè lo spirito risorgimentale, il lavorio ideologico, il concetto di Patria, Nazione e così via, mentre meraviglia che il ministro nulla dica, né prima né dopo, a proposito dei programmi ministeriali, di un tratto di storia d’Italia che per lo più mai, o molto raramente, è trattato nelle nostre scuole e cioè quei tre anni che, dal 1943 al 1946, sconvolsero l’Italia e ai quali dobbiamo il clima di pace, libertà, democrazia che finora respiriamo a pieni polmoni.
È vero infatti che il Risorgimento, coi moti patriottici per liberare l’Italia dallo straniero e unirla dalle Alpi a Capo Passero, fu il momento decisivo della nostra storia, ma è anche vero che in quei tre anni la Patria subì uno sconvolgimento che in nessuna altra parte del mondo si è registrato con uguale slancio repentino, tranne in Russia con l’avvento dei comunisti di Lenin e la caduta dello zar.
Nel 1943 infatti, con lo sbarco alleato in Sicilia, inizia lo sfacelo della dittatura fascista con l’arresto di Mussolini da parte del Re Vittorio Emanuele III; comincia la lotta partigiana contro il nazismo che da alleato diventa invasore; si gettano le basi, con i vari gruppi armati dei partigiani che imbracciano le armi, dei vari partiti politici che daranno vita alla Repubblica e che scriveranno insieme la Costituzione. Nel 1945 viene liberata definitivamente l’Italia dal nazifascismo e nel 1946 non solo viene proclamata la Repubblica Italiana col referendum popolare, ma per la prima volta le donne possono votare, conquistando così un diritto fondamentale. Di conseguenza cade la Monarchia che era stata l’asse portante della Nazione dal 1861, con l’annessione della Sicilia al Regno sabaudo. Viene promulgata la Costituzione, “la più bella del mondo”, si formano i partiti, si impone la democrazia e la libertà di pensiero e di parola, si apre il confronto Parlamentare.
In quei tre anni infatti, la Nazione è diventata altra cosa rispetto a quella pensata dal Risorgimento, mentre in riferimento alla Prima guerra mondiale, per le sue tante contraddizioni sarebbe sufficiente ciò che già in classe si studia, considerato appunto che a quella data, 1918, per lo più col programma di storia si arriva, mentre quasi mai si giunge a esaminare proprio quei tre anni così fondamentali per l’Italia di oggi.
Per questo ci saremmo aspettato che il ministro, facendo proprio quanto già Luigi Berlinguer raccomandava ai docenti di storia (si veda il decreto n. 682 del 4.11.1996: Modifiche delle disposizioni relative alla suddivisione annuale del programma di Storia) di introdurre “la conoscenza dei più importanti eventi dell’ultimo secolo, il Novecento, tenendo presenti le capacità e i modi di apprendimento propri degli alunni e l’esigenza di un continuo riferimento alla concreta realtà in cui essi sono inseriti”) riprendesse quel filo della memoria e quello straordinario triennio che cambiò l’intera fisionomia dell’Italia.
D’accordo dunque con Valditara quando dice che “lo spirito di patria è bello e include”, e che i valori del Risorgimento possono “essere utili per sapere affrontare il percorso di crescita e anche di inclusione, altrimenti la società che non è forte nei riferimenti ideali va verso la disgregazione”, ma senza la piena consapevolezza, conoscenza, analisi di quegli ideali e di quelle lotte che portarono alla Repubblica e alla Costituzione, al suffragio universale e alla democrazia ci pare che il percorso tratteggiato dal ministro rimanga a metà.