
Riceviamo e pubblichiamo un documento, una storia vissuta, che testimonia quanto sia importante che nelle scuole, come in tutti i luoghi di lavoro, prevalga sempre l’umanità e il rispetto per gli studenti e per il personale.
In un Paese che si proclama fondato sul lavoro e sulla tutela della persona, troppo spesso le regole sembrano dimenticare tale prerogativa. La Costituzione italiana garantisce il diritto alla salute, alla famiglia, al lavoro, eppure nella quotidianità scolastica accade che un docente debba scegliere tra l’assistenza al proprio figlio e il rispetto formale di una burocrazia miope. L’assenza di strumenti flessibili, il ritardo nel riconoscimento di situazioni di fragilità e la freddezza dei meccanismi di concessione dei permessi dimostrano come il sistema, talvolta, non sia all’altezza dei valori che pretende di difendere. Le istituzioni spesso parlano di famiglia, di inclusione, di sostegno alla genitorialità, ma quando arriva il momento della necessità, molte di quelle promesse restano inascoltate.
Nessun genitore stabilisce a priori la condizione di salute del proprio figlio, la quale non è mai frutto di un destino negoziabile: è altresì un fatto che irrompe nella vita familiare e la stravolge, portando con sé preoccupazioni, responsabilità e timori. Certe patologie richiedono percorsi di cura che non si possono evitare, sono necessità vitali. Eppure, a volte, chi affronta queste realtà complesse viene ignorato se non addirittura ostacolato, quasi mai supportato.
Per un genitore, la diagnosi di una patologia rilevata in un figlio, non segna solo l’inizio delle cure, ma soprattutto, genera ansie. Non si tratta sempre di drammi eclatanti, ma anche di piccoli terremoti quotidiani (visite specialistiche, terapie, ecc ). Quando a questo si somma Qanche la necessità di difendersi da un sistema che non vede – o finge di non vedere – come se già non bastassero le preoccupazioni, bisogna anche combattere per il diritto di esserci.
Esistono necessità che non dovrebbero essere ignorate: bisogni che si risolvono in uno stillicidio di attese snervanti, di negoziazioni ingiuste. Il diritto alla cura di un figlio è sacrosanto. È un’urgenza, un bisogno che dovrebbe essere riconosciuto senza esitazione.
L’utilizzo improprio delle concessioni lavorative, purtroppo, compromette l’equità e la funzionalità di uno strumento pensato per tutelare esigenze reali.
Ci sono stati giorni in cui ho dovuto scegliere tra il lavoro e la salute di mio figlio. Giorni in cui la paura di non poterlo assistere nel modo giusto mi ha schiacciata, giorni in cui ho sentito il peso di un sistema che non vede, non ascolta e non comprende. La salute non dovrebbe essere un privilegio, ma una garanzia per tutti, specialmente per chi si trova in situazioni di vulnerabilità.
Eppure in questo deserto insopportabile di indifferenza, ho trovato una luce: la mia preside. Una persona che ha saputo guardare con il cuore, senza bisogno di richieste infinite ed ostacoli.
Il suo gesto non è stato solo la firma su un permesso, ma un segno tangibile di rispetto e sensibilità, una dichiarazione silenziosa di umanità, un atto che resterà inciso nella mia memoria come un simbolo di ciò che significa essere veramente al fianco di una persona.
Lei ha scelto di dare valore all’essenza più profonda dell’essere genitori: esserci.
Ha visto che dietro ogni lavoratore c’è una persona, dietro ogni madre c’è un figlio, dietro ogni minore c’è il diritto di essere curato senza ostacoli imposti. Grazie a lei, ho potuto accompagnare mio figlio nelle cure mediche che un giorno gli permetteranno di vivere con più sicurezza, con più libertà, con meno paura ed io, come madre, potrò finalmente essere tranquilla quando starà lontano da casa.
Ma questa non dovrebbe essere una concessione straordinaria: dovrebbe essere la norma.
Garantire le cure necessarie significa anche inclusione, permettere a chi ne ha bisogno di sentirsi parte del gruppo, di non dover sacrificare esperienze dovendo giustificare la propria condizione.
Voglio pertanto esprimere sincera gratitudine alla mia preside, Barbara Marini (I.C. Maria Montessori di Terracina –Latina) per la straordinaria umanità dimostrata nei miei confronti. In un momento di grande difficoltà, quando la salute di mio figlio richiedeva tutta la mia attenzione, la sua comprensione ha avuto un impatto che va oltre la semplice concessione dei sei giorni di ferie: ha dimostrato che dietro ogni ruolo professionale ci sono persone con vite, responsabilità e affetti meritevoli del più profondo rispetto.
In un mondo dove spesso si antepone la produttività alla dignità delle persone, Barbara Marini ha dimostrato che esiste un modo diverso di esercitare il proprio ruolo di guida. Ed è di questo che abbiamo bisogno: di leader che sappiano fare la differenza non solo con le decisioni, ma con il cuore.
Un esempio che dovrebbe ispirare il mondo del lavoro ad essere più attento e umano.
Non sempre chi occupa posizioni di responsabilità comprende le sfide quotidiane di chi, oltre al lavoro, ha priorità irrinunciabili. Troppo spesso si chiudono occhi di fronte alle preoccupazioni reali delle persone, ignorando il peso di certe decisioni.
Presidi, sappiate che il valore di una scuola non si misura solo dai voti e dalle regole, ma dalla capacità di chi la guida di vedere oltre il ruolo e riconoscere le persone.
Per questo chiedo a tutti coloro che hanno il potere di decidere: guardate i vostri insegnanti, i vostri collaboratori, i vostri studenti con occhi capaci di comprendere, di ascoltare, di dare valore alle loro vite fuori dalle mura scolastiche.
Abbiate il coraggio di essere padri, madri, guide che sappiano bilanciare autorità e sensibilità perché una scuola non è solo un luogo di istruzione, ma una comunità fatta di persone, di emozioni, di battaglie quotidiane che meritano attenzione e rispetto.
Grazie di cuore Barbara Marini per aver reso possibile ciò che sembrava impossibile e per aver reso tangibile che il rispetto e l ’umanità possono camminare insieme alla professionalità.
Esistono gesti che non si dimenticano.
Roberta Stamegna




