
Saranno i suoi ultimi esami di maturità e di conseguenza i suoi ultimi giorni di lavoro prima della pensione. Domenico Di Fatta, da quarant’anni nel mondo della scuola, gli ultimi diciotto da dirigente scolastico, si è raccontato alla ‘Repubblica’. La sua carriera si è svolta a Palermo, spesso in quartieri a rischio.
“Quando morì don Pino Puglisi qualcuno sollevò perplessità a usare la parola “mafia”. Passi avanti da allora ne sono stati fatti e mi riempie di gioia la scelta di un testo di Borsellino come traccia del tema di maturità. Per chi non c’era nel 1992 la memoria è fondamentale: ricordare, sapere, conoscere”.
Di Fatta ha lavorato in scuole di quartieri difficili come lo Zen 2 e Brancaccio, ma le soddisfazioni non sono mancate: “Il riconoscimento più bello è quello che arriva dai ragazzi. Qualche giorno fa un infermiere si è presentato come ex alunno dello Zen e mi ha riconosciuto. Ma non è l’unico. Ci sono ragazzi che anche nei contesti più problematici studiano per riscattarsi. C’è chi si perde, ma c’è anche chi si impegna per cambiare le cose”.
In questi quarant’anni sono cambiati sia i ragazzi che la scuola:
“I ragazzi sono estremamente fragili, si abbattono alla prima difficoltà, abbiamo tre psicologi a scuola, ma non bastano. Ne serve almeno uno stabile in ogni scuola”.
“La scuola dopo il Covid è diventata molto burocratizzata. Ormai siamo più dirigenti amministrativi, sempre dietro alle carte. E la stessa cosa vale per i docenti”.