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Il profilo degli studenti italiani

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È l’affermazione “trovare lavoro senza diploma è difficile al giorno d’oggi” a riscuotere maggior consenso tra le motivazioni allo studio degli alunni italiani: la ritiene infatti “molto importante” il 56% degli studenti e “abbastanza importante” il 35%. Nove studenti su dieci riconoscono, insomma, che fermarsi all’istruzione dell’obbligo potrebbe costare un duro prezzo per il loro futuro professionale.
Tra le motivazioni allo studio, riscuote ampio successo anche la frase “desidero trovare un lavoro coerente con i miei interessi” (per il 54% del campione è molto importante e per il 37% abbastanza). Ci sono ancora aspirazioni culturali al terzo posto, con l’affermazione “desidero accrescere la mia cultura”: anche in questo caso si supera il 90% dei consensi.
Tra le motivazioni ritenute meno importanti, si trovano, invece, “il prestigio per il diploma” (solo il 15% dei rispondenti la reputa molto importante) e le influenze dei genitori (un ragazzo su dieci fa propria questa motivazione).
È quanto emerge dalla ricerca “Crescere a scuola – Il profilo degli studenti italiani”, promossa e finanziata dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo e realizzata dall’Istituto Iard “Franco Brambilla”, che ha coinvolto 1.127 studenti di scuole secondarie di II grado e 431 neodiplomati nati tra il 1983 e il 1988, con un campione rappresentativo per genere, area geografica e indirizzo di studi (licei, istituti tecnici e professionali).
Ma come si sta a scuola? Soddisfatti nel complesso gli studenti italiani: uno su due dichiara di sentirsi “spesso” soddisfatto per la propria esperienza scolastica. Non va sottovalutato tuttavia il dato che evidenzia che il 40% si dichiara soddisfatto solo “qualche volta” e il 4% non avverte “mai” questa sensazione.
In particolare, la soddisfazione per il tipo di scuola scelto è alta (81%), ma si riduce al 70% nel giudizio sulla capacità degli insegnanti e al 50% se si parla della qualità delle strutture.
Degna di nota l’ansia da prestazione. Più della metà (54%) si “sente in tensione” rispetto agli impegni scolastici, ben uno su sei lo è “sempre” mentre solo uno su dieci si sente invece “generalmente tranquillo e rilassato”.
Analizzando i dati relativi ai percorsi di studio e al rendimento, si riscontrano migliori prestazioni fra le ragazze rispetto ai loro coetanei. Il 54% dei ragazzi ha avuto almeno un debito formativo, mentre il 31% degli alunni ha ripetuto almeno un anno (per le ragazze la percentuale scende, rispettivamente al 40% e al 19%).
Agli studenti intervistati è stato chiesto, inoltre, di indicare il “voto medio” conseguito in nove diverse aree disciplinari. Ne è emerso che l’area in cui si registrano profitti migliori è quella umanistica, mentre se si passa ad esaminare i voti conseguiti nell’area matematica si assiste a un netto peggioramento: uno studente su quattro presenta rendimenti inadeguati.
Per quanto concerne le relazioni, quelle con i compagni di classe sono nel complesso positive, più articolata è invece la relazione con gli insegnanti. La maggior parte (64%) è riuscita a instaurare un buon rapporto con i propri docenti, che è addirittura ottimale in taluni casi (15,6%); per altri intervistati (20,1%) il rapporto con gli insegnanti è problematico, soprattutto se il rendimento scolastico non è dei migliori. Ma cosa pensano gli studenti dei loro professori? La valutazione tende ad essere un po’ contraddittoria: da un lato il 59% degli intervistati ritiene che i docenti “non comprendono a fondo le loro esigenze”, dall’altro oltre i due terzi (70%) segnala come caratteristica positiva una “buona capacità a relazionarsi con gli allievi”. Se, inoltre, il 40% degli allievi imputa agli insegnanti addirittura “l’incompetenza nella propria materia”, il 57% li considera “stimolanti nel corso delle lezioni”.
Lorenzo Caselli, presidente della Fondazione per la Scuola evidenzia come “l’identikit degli studenti delle nostre scuole appare complesso, talvolta anche contraddittorio, comunque non suscettibile di facili o comode generalizzazioni. In più occasioni abbiamo affermato che la scuola italiana è meglio di quanto appare o si vuole far apparire”.