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La matematica è davvero così astratta? Provate per un giorno a cancellarla dalla vita quotidiana

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Se le vacanze sono, o si sperano diventino, un momento di ricerca di sè, del valore delle proprie relazioni, del senso del tempo che passa e della vita che si sta conducendo, resta la domanda centrale a sorvegliare i nostri tentativi di meditazione e di parziale risposta.

Parlo di un verso di una canzone di Vasco: “Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha”.

La domanda è presto detta: un senso non c’è proprio, o sono io che non l’ho ancora trovato? E poi: dicendo che un senso non c’è, non è forse questo il senso, cioè un senso in negativo, per cui non resta che rifugiarsi solo nella distrazione, nei mille rigagnoli di quello che Pascal chiamava “divertissement”, per placare quella domanda che non ci dà pace? Come dire, meglio non pensarci e lasciarsi andare al solo “principio di piacere”, forse non sapendo che questo stesso principio, per Freud, prima o poi si sarebbe comunque scontrato col “principio di realtà”. E cosa ci fa intuire questo rimando alla realtà, se non la parola di verità della vita?

Perché intanto la vita continua, e se la vita, si diceva un tempo, fosse anche una tribolazione, per tribolare bisogna pure che un senso ci sia.

Non sono domande o questioni astratte, ma talmente concrete da sembrare astratte. Mentre astratti sono quei modi di vivere che rimangono in superficie, che svolazzano tra un carpe diem, male inteso, ed un altro, nella speranza di non atterrare mai, per non fare i conti con la scorsa dura della vita. La quale, prima o poi, il conto lo presenta.

Quando a scuola, e capitava piu di una volta, qualche ragazzo si lanciava in accuse di astrattezza nei confronti della matematica ero solito rispondere: prova per un momento a cancellarla dalla vita quotidiana. Provare per credere.

Che cos’è la matematica, assieme a tutte le altre materie scolastiche, se non una finestra sul mondo, una forma cioè di leggibilità della nostra vita?

Proprio per questa ragione vivere, potrebbe dire qualcun altro, è “cercare la verità”, senza fermarsi all’apparire delle cose e di se stessi.

Ma, mi permetto di rilanciare: si può cercare ciò di cui non abbiamo nessun sentore? In altre parole, per cercare (pensiamo qui alla scuola, all’università, a tutto il mondo della formazione, ma, prima ancora, alla vita stessa come palestra del nostro esistere); per cercare, dicevo, devo sapere cosa e come cercare, altrimenti brancolerei nel buio. Ma, al tempo stesso, proprio perché cerco devo essere consapevole di ciò che non so, altrimenti non cercherei.

Dunque, cercando sappiamo e non sappiamo al tempo stesso.

La verità (assieme agli altri modi dell’essere-vero, cioè il bene, il bello, il giusto, il buono) è perciò l’orizzonte del nostro essere, la ragione del nostro vivere, sapendo per esperienza che il cammino è sempre fragile e mai determinato e concluso.

In tutte le questioni, universali e specifiche, è dunque proprio perché esiste la verità che la si cerca, anche se nessuno potrà mai pretendere di possederla, di conoscerla e praticarla in assoluto.

La verità, perciò, è ragione di sè e, nello stesso tempo, della possibilità infinita degli errori, delle incomprensioni, delle falsificazioni. Perché senza un’idea del vero non posso nemmeno farmi un’idea del falso.

E questo è il bello della vita, in tutte le sue manifestazioni e sfaccettature.

Foriero di quel pensare positivo, nonostante tutto e tutto, che alimenta il valore della vita, oltre le mille facce di quello scivolamento verso un pensiero negativo bene rappresentato dal grande Vasco nel suo verso.

Ma perché ci possa essere o possa maturare in tutti questo pensiero positivo ci deve essere in tutti, a partire dalla famiglia, dalla scuola, dalle mille relazioni, dal mondo del lavoro, anche dalla politica, quella fiducia reciproca che non si lascia schiacciare dalle tante logiche negative, quelle che ci dipingono eterni adolescenti sempre rannicchiati a contemplare il proprio ombelico, le proprie idee, convinzioni, rappresentazioni.

No, la vita è un orizzonte sempre aperto, che chiede umiltà, cioè consapevolezza del valore ma anche dei limiti.

Allora se la vita, a volte, è una tribolazione, in fondo in fondo è comunque sempre una bella tribolazione, che vale la pena vivere. Anche con un po’ di quella autoironia che non guasta mai.