Home I lettori ci scrivono La retorica della violenza, lettera aperta al ministro Bussetti

La retorica della violenza, lettera aperta al ministro Bussetti

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Come cittadina italiana, ma ancor più come insegnante, sono preoccupata e disgustata da una pratica che ormai da decenni si è diffusa nella politica italiana, cioè quella di fare affermazioni volutamente provocatorie cui segue una smentita o un aggiustamento.
Chi fa queste affermazioni – ministro, presidente o deputato che sia – dopo aver attribuito all’interpretazione dei giornalisti e dei critici la responsabilità del fraintendimento o della deliberata manipolazione di quanto affermato, mitiga la violenza del proprio messaggio.
L’opinione pubblica, quindi, si placa, ma intanto le parole hanno fatto il loro corso, hanno aperto immaginari che lavorano sull’inconscio collettivo e sulle paure più ancestrali dell’essere umano, paure che la politica dovrebbe ascoltare e trasmutare piuttosto che agitare e fomentare.

Le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Bussetti, rilasciate al giornale La stampa il 9 aprile e di seguito riportate, sono pericolosissime.
La scuola è il luogo principale di inclusione nella nostra società, l’ho sempre detto, fin dal mio insediamento. Voglio ribadire anche che questo governo non agisce in maniera pregiudiziale rispetto alla questione migratoria: stiamo affrontando il tema con serietà e responsabilità. A differenza di come è stato fatto in passato. Regolare i flussi tutela innanzitutto chi cerca rifugio in Italia, avendone diritto. Penso anche però che il primo pensiero debba sempre essere quello di aiutare i nostri giovani affinché possano farsi una famiglia, avere dei figli, vivere con serenità il loro progetto di vita. La ritengo una priorità assoluta“.
Solo l’abitudine alla retorica della violenza sdoganata da questo governo potrebbe non farci percepire la gravità di quest’affermazione.

Il ministro non è nuovo ad affermazioni che fanno leva “sulla pancia” del Paese e che mirano a creare contrapposizioni interne al mondo della scuola: si pensi alla questione relativa alle scuole del Sud il cui unico problema sarebbe la mancanza di impegno da parte dell’intero personale. In quella circostanza veniva cavalcata l’onda dell’opposizione Nord-Sud, che la Lega di Salvini, per approdare alla guida della nazione, ha già abbandonato da tempo e sulla quale il ministro, infatti, non ha perseverato.

Come in quella circostanza, anche in seguito alle affermazioni del 9 aprile, Bussetti ha precisato di essere stato frainteso e strumentalizzato.
Gli scenari che si aprono, quindi, sono tre:

  1. o c’è un ministro che non riesce a tradurre il proprio pensiero in parole che siano chiare e inequivocabili,
    2. o c’è una manipolazione dell’opinione pubblica da parte dei mass media in grado di far dire a qualcuno il contrario di ciò che afferma convincendo tutti i lettori e gli ascoltatori,
    3. oppure siamo ancora una volta di fronte alla strategia delle “iniezioni di paura e violenza a piccole dosi”.

Il discorso del ministro parte dall’intercettazione di un problema reale e cioè l’integrazione degli alunni stranieri all’interno del sistema di istruzione pubblica. Bussetti precisa che l’approccio alla questione migratoria non è pregiudiziale da parte di questo governo e afferma di stare affrontando il tema con serietà e responsabilità.

Fin qui tutto ok. Chiunque abbia insegnato in una scuola in cui molti alunni hanno bisogno di apprendere la lingua italiana per poter accedere all’istruzione e per potersi integrare sa bene quanto carenti e ridicole siano le risorse che tutti i governi hanno messo a disposizione dei singoli Istituti. Se l’integrazione avviene (e io posso dire che, considerate le risorse a disposizione, si ottengono buoni risultati) è grazie a spirito di sacrificio e dedizione dei docenti e alla disponibilità degli studenti ad accogliere i loro compagni, e non di certo perché la situazione sia stata affrontata seriamente da tutti i governi di ieri e di oggi.

In seguito Bussetti dice che “regolare i flussi tutela innanzitutto chi cerca rifugio in Italia, avendone diritto”. Ancora una volta si parte da un problema reale: la gestione dei flussi migratori che, di certo, ha bisogno di essere ridefinita all’interno di un progetto di lungo periodo. La gestione emergenziale del problema (che è quella ancora in atto) non ha portato né potrà mai portare ad una soluzione. Il ministro costruisce questa frase utilizzando i termini “regolare” , “tutela” , “diritto” : bisogna proteggere chi ne ha diritto secondo un sistema di regole e di accessi ben definito. Non credo si potrebbe dissentire.

Ma nel contesto del suo discorso che senso assume questa frase? Vuol dire che non tutti hanno diritto alla tutela e questo prepara il terreno alla stangata finale: non solo non tutti hanno il diritto di essere tutelati, ma ci sono alcuni che vanno tutelati più degli altri, quelli che Bussetti chiama i “nostri giovani” .

Sorge spontanea una domanda: se ci sono dei giovani nostri, gli altri di chi sono?
Non mi è mai piaciuto l’utilizzo del possessivo “miei” o “nostri” perché credo che nessuno studente ci possa e ci debba mai appartenere, ma che ognuno di loro sia un compagno di viaggio con cui noi docenti percorriamo ogni giorno un pezzo del nostro cammino. Ma se vogliamo definirli “nostri” allora lo devono essere tutti, perché la scuola, almeno quella pubblica, è e deve restare la scuola di tutti e per tutti.

Le parole che seguono mortificano ancora di più il senso e la funzione stessa della scuola poiché questi fantomatici “nostri ragazzi” dovrebbero essere messi al primo posto così che possano “farsi una famiglia, avere dei figli, vivere con serenità il loro progetto di vita”.
Le parole al centro di quest’affermazione sono “famiglia” , “figli” , “serenità” , “progetto di vita” . Credo che nessuno inconsciamente possa attribuire una connotazione negativa a queste parole, ma, ancora una volta, in questo contesto assumono un significato pericolosissimo. Bussetti sa che sono temi ancora caldi, vista la recente chiusura del Congresso mondiale delle famiglie, tenutosi a Verona, a cui il suo partito ha dato il proprio sostegno, e sa che, usandole, risponde alle esigenze di chi vuol fare del proprio modello di vita un progetto valido per tutti o quantomeno più valido rispetto agli altri.

Io sarei felice se sapessi che una delle mie studentesse ha avuto dei figli perché li desiderava e sarei altrettanto felice se sapessi che un’altra non ha avuto figli perché non desiderava averne. Sarei felice se sapessi che un mio studente si è sposato perché crede nel valori civili o religiosi del matrimonio, ma sarei altrettanto felice se sapessi che non lo ha fatto, che convive, che ha un compagno, che è single, se è questo che il suo cuore desidera.

Durante il cammino che facciamo insieme, infatti, il nostro problema non è definire “che cosa” diventeremo, ma “che persone” saremo. E il diritto di conoscere noi stessi e scoprire chi siamo non può essere prerogativa di pochi.

Allora, ministro Bussetti, le sue parole sono gravi, che il loro senso sia stato distorto o meno, perché lasciano un segno in chi le ascolta e, anche se lei ancora una volta dovesse ritrattare quanto ha affermato, ciò comunque non rimedierebbe al danno fatto. Le continue piccole iniezioni di violenza e paura a cui questo governo più degli altri sottopone il Paese mettono in circolo un veleno che non potrà che avere effetti devastanti sul corpo dello Stato.

Per fortuna abbiamo un antidoto potentissimo che sia chiama cultura e che cammina sulla gambe delle migliaia di studenti (tutti nostri) che sapranno riconoscere la paura e fronteggiarla per costruire un’Italia migliore di quella che stiamo consegnando loro.

Irene Muscato