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La riforma del Titolo V motivo continuo di litigi tra Stato e Regioni

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La riforma del Titolo V della Costituzione? Una revisione laboriosa. Con tanti parti in causa che ne frenano l’attuazione. Tanto da accostarla ad un’eterna incompiuta. Che nella scuola sta comportando un’applicazione lenta e incerta del cosiddetto federalismo scolastico. In particolare della regionalizzazione degli istituti superiori di tipo professionale.
Ora si scopre che l’adozione di questo modello di gestione scolastica (oltre che sanitaria e relativi ad altri ambiti pubblici primari che incidono direttamente sui cittadini), non solo stenta a decollare, ma comporta anche diversi problemi di competenze tra le regioni e l’amministrazione centrale: tanto che dal 2002, da quando è stato modificato il Titolo V della Costituzione, circa il 30% delle decisioni della Corte costituzionale ha riguardato proprio il contenzioso tra Stato e Regioni. Due strutture di gestione e di potere della cosa pubblica, che proprio a seguito della riforma avrebbero dovuto essere considerate paritetiche. E quindi non più concorrenziali. Ma che, di fatto, sembrerebbero esserlo ancora.
Il dato è deriva da uno studio dell’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie del Consiglio nazionale delle ricerche (Issirfa-Cnr) presentato il 29 maggio a Roma, presso la sede centrale dell’Ente, nell’ambito del convegno ‘La giustizia costituzionale e il nuovo regionalismo’, organizzato in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione del ministro per gli Affari regionali, Piero Gnudi, e Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale.
Dallo studio – ha dichiarato Stelio Mangiameli, direttore dell’Issirfa-Cnr – emerge innanzitutto che il carico di lavoro della Corte Costituzionale, dopo la revisione del Titolo V della Costituzione, è stato assorbito per quasi un terzo dal contenzioso Stato-Regioni, che prima del 2001 rappresentava mediamente meno del 10%. Dal 2006 al 2010 le pronunce rese dalla Corte nei giudizi in via principale, in seguito all’impugnazione di una legge da parte dello Stato o delle Regioni, sono stati 477, di cui 141 nel solo 2010. Nello stesso periodo, quelle relative al conflitto tra Enti, che vertono su atti di natura amministrativa o regolamentare, sono state 85”.
Attraverso lo studio del Cnr è anche emersa la tendenza alla contrattazione per risolvere la controversia: “nell’ultimo quinquennio, anche tale strumento giova soprattutto allo Stato, che è in grado di indurre le Regioni a modificare le normative impugnate in più del 20% dei casi in cui lo Stato ricorre contro le Regioni”, ha sottolineato Mangiameli.
Per quanto riguarda l’esito delle sentenze, il Cnr ha rilevato che lo Stato è in netto vantaggio: “dal 2009 al 2011 – ha aggiunto il direttore dell’Issirfa-Cnr – la Corte ha accolto all’incirca il 50% dei ricorsi dello Stato contro le leggi regionali e il 20% di quelli mossi dalle Regioni contro le normative statali. Nel 2006-2010 la percentuale di accoglimento delle azioni regionali va dal 7,50 al 31,10%, per lo Stato invece dal 23,20 al 59,40%. Per i dispositivi d’inammissibilità, ben 250 concernono questioni sollevate da Regioni o Province e 93 dal Governo. Nel quinquennio, sul piano percentuale, tenendo conto sia dei profili processuali sia di quelli di merito, la reiezione delle questioni va dal 25,60% al 51,90% per il Governo; dal 37,50% all’80,8% per le Regioni”.
Insomma, a distanza di 10 anni dalla sua approvazione in Parlamento, anche i giudici sono costretti a ravvisare incertezze e sovrapposizioni di competenze tra i vari livello dello Stato derivanti dalla complessa riforma del Titolo V. Confermando che per fare una legge non sempre basta approvarla.