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La riforma di Erode

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Ciascuna delle deleghe relative alla L. 107/’15 definita “buona scuola” dal defunto (ma redivivo sotto un frettoloso maquillage) governo Renzi, merita uno specifico commento, ma ci limitiamo, per ora, a quella dedicata al “Sistema integrato di istruzione dalla nascita fino a sei anni”.

Già il fatto che si usi il termine “istruzione” per la fascia di età da 0 a 3 anni suscita sconcerto. Ma, più ancora che sconcerto, dovrebbe suscitare allarme. Se pensiamo, infatti, che il Ministro Fedeli è autrice del ddl 1680 titolato “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”, facciamo due più due e possiamo ritenere, o temere, che ai piccoli della prima fascia, dunque nell’ età freudianamente più duttile sotto il profilo sessuale, verranno ammanniti insegnamenti (naturalmente sotto forma di giochi filastrocche e quant’altro) gravemente destabilizzanti. Il Ministro, interrogata sul punto, nega, dichiarando in un’intervista rilasciata oggi che “i programmi non erano oggetto di delega”.
Il punto, però, è che il gender oggi non rientra in nessun programma ufficiale della scuola di Stato, eppure ugualmente vi tracima da ogni parte. Nel momento in cui la fascia da 0 a 3 anni si fa rientrare nel sistema di istruzione, come si può pensare di lasciarla immune? Conferma tutti i timori anche la dichiarazione della senatrice piddina Francesca Puglisi la quale, scesa in campo a difesa della legge, così dichiara: “I nidi non saranno più solo uno strumento di welfare per le famiglie, si fa un investimento educativo fin dalla nascita, come avviene nel resto d’Europa”.
Alla senatrice andrebbe fatto presente che l’asilo nido in realtà non può essere molto altro che “uno strumento di welfare per le famiglie” e che non c’è niente di disonorevole o spregevole in questo, a patto che si abbia a cuore la funzione sociale della famiglia e non si inseguano sogni di educazione statalistica.
Leggiamo poi che le maestre degli ex asili nido dovranno essere provviste di laurea triennale. Ebbene ci si chiede come abbia fatto la nostra povera Patria a sopravvivere nei lunghi decenni in cui la maestra elementare, oltre ad essere unica e non membro di un “team”, era in possesso del solo diploma magistrale. E ci sovviene che quelle antiche generazioni, così poveramente istruite, non erano necessariamente più ignoranti delle attuali. Anzi sapevano perfino comprendere e scrivere dei testi, cosa che oggi non è affatto scontata, se è vero che i docenti universitari usano mettersi le mani nei capelli al solo sfogliare le tesi di laurea dei loro studenti.
Forse non è alzando l’asticella del titolo di studio che si determina un pari innalzamento del livello degli studi, ma vallo a raccontare agli estensori delle riforme scolastiche ansiosi di passare alla storia. I quali oltre tutto non tengono conto che, così facendo, diminuiscono il range dei lavori cui i semplici diplomati potranno avere accesso. Ai quali, continuando così, rimarrà solo morire di fame. Oppure fare il Ministro dell’Istruzione pubblica.

Alfonso Indelicato
Responsabile del Dipartimento Scuola della Lombardia
di FdI – AN