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La “rivoluzione” del merito

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In Italia i concetti di merito, di qualità, di competenza sono ancora un tabù. Merito, qualità e competenza dicono di valori e di regole sulla base delle quali è giusto ed è bene coordinare la convivenza sociale, dare impulso agli ascensori sociali, rispettare i talenti e la fatica quotidiana dei nostri giovani migliori. Secondo concrete pari opportunità.

Rispetto alle recenti proteste contro la Buona Scuola, ai nostri giovani dobbiamo dire la verità. Dobbiamo dire i nuovi contesti del mondo del lavoro, cioè gli orizzonte del loro futuro, e quali sono le energie personali e le priorità culturali che li devono accompagnare, se vogliono trovare, con reali opportunità, la loro strada nella vita. Con contratti di lavoro stabili.

Cose non scontate nell’Italia di oggi. Perché una cosa è il diritto al lavoro, altra è il diritto al posto di lavoro, il quale è giusto che venga assegnato a chi se lo “merita” non solo all’inizio del percorso lavorativo, ma soprattutto “in itinere”.

Ci vorrebbe un altro ’68, ma tutto diverso, meno ideologico. Fondato invece sul “principio di realtà”.

Il male endemico soprattutto italiano si chiama “corporazione”.

La scuola, primo investimento di un Paese, dovrebbe essere totalmente ripensata non solo in termini organizzativi, come è nella Buona Scuola, ma in primis in relazione alle nuove domande formative.

Basterebbe poco, cambiare l’angolo visuale, perché la scuola non è dei docenti o dei presidi, ma degli e per gli studenti, come gli ospedali non sono dei medici ma dei cittadini, come la magistratura non è dei magistrati ma del nostro vivere sociale e istituzionale.

Il merito, lo sappiamo, è un concetto complesso, più un ideale regolativo che una pratica, per le tante angolazioni. Ma, appunto come ideale regolativo, è la via maestra di una “società aperta”, perché invito ad una misurazione, senza pretese di assolutezza (la quale non è di questo mondo), secondo parametri di qualità, cioè con risultati accertabili e verificabili. Secondo responsabilità. La quale, prima di essere collettiva, è personale, ognuno per la propria parte.

Valutare il “servizio” e valutare gli apprendimenti.

Come e cosa valutare e “misurare”? Nella scuola, per gli apprendimenti, sul piano di una “cultura dei risultati” che sarà al centro, per gli studenti, dei prossimi scrutini di giugno, non tanto o non solo matematica, inglese, meccanica, filosofia, economia, italiano ecc., quanto piuttosto quelle conoscenze messe in relazione alle “competenze della vita”: come affrontare un problema, come riconoscere e risolvere un problema. C’è ancora molta strada da fare per questo passo doppio, per questo nuovo modo di fare scuola che oggi viene richiesto a livello sociale.

Questa è la vera riforma della scuola, mentre la Buona Scuola di Renzi si è assunta il compito di prepararne le condizioni a monte, intervenendo, con una chiara “etica della responsabilità”, sul piano organizzativo e della qualità del “servizio pubblico” dei presidi, dei docenti, di tutto il personale. Appunto, “servizio pubblico”.