
Un modello educativo fondato sulla connessione profonda tra mente ed emozione, ispirandosi al prototipo B-612-Infinito, l‘asteroide del Piccolo Principe, nel libro di Antoine de Saint-Exupéry, di dimensioni così piccole che il protagonista può guardare il tramonto tutto il giorno ma nel quale coltiva la “sua rosa”.
Questo, in estrema sintesi, il contenuto di, “La scuola che vorrei”, Daniela Lucangeli ( ordinaria di Psicologia dello sviluppo presso l’Università di Padova), Erickson, 16,50 euro: una metafora per descrivere una scuolain cui l’errore è accolto come opportunità, la curiosità come risorsa e la fiducia lo spunto per un apprendimento autentico, cosicché gli alunni possano seguire percorsi didattici senza essere giudicati e soprattutto a cui nulla è imposto.
La scuola dunque, non come un’istituzione riformare a piccoli passi, ma come un luogo da ripensare, da sognare da costruire insieme.
“La scuola che vorrei” non è un’utopia. È un progetto reale, concreto, nato dall’esperienza sul campo e fondato su solide evidenze scientifiche. È un viaggio che unisce insegnanti, bambini, famiglie, educatori. Un viaggio fatto di cura, ascolto e fiducia.
Una sorta di mappa educativa attraverso 10 passi, rivolti ai docenti ai quali, sono proposti riflessioni per costruire una scuola dove il sapere sia una scoperta comune, le emozioni si valorizzano e ogni bambino può far emergere il meglio di sé.
Una visione dunque della scuola osservata da angoli del tutto nuovi nei quali i processi di apprendimento siano condivisi tra docenti, studenti, famiglie e tutta la comunità educante.
Questi i 10 punti, o passi, come sono elencati nel libro:
- Essere magister significa pensarsi come differenziale di sviluppo;
- Insegnare con il cuore;
- Zona di sviluppo prossimale;
- La scuola che nutre la mente. Oltre l’ingozzamento cognitivo;
- L’errore come alleato dell’apprendimento;
- I Care. Tu mi stai a cuore, come dire: io mi prendo cura di te;
- Dall’io al noi;
- Dalla didattica alle didattiche;
- La classe inclusiva è un organismo vivente;
- Apprendere chiede tempo di vita.
Insegnare è prima di tutto un atto di cura, e l’educazione un viaggio di scoperta e crescita in cui emozioni e conoscenza sono saldamente intrecciate. Precisa l’autrice: “La scuola che vorrei ha un nome, si chiama B612.infinito”, una scuola che non riempie ma nutre, che non misura ma accompagna, che non pretende ma ascolta. Non un sogno, ma un progetto concreto.