
La Comunità di Sant’Egidio la conosciamo tutti: nata nel 1968 ad opera di alcuni studenti del liceo Virgilio di Roma – tra i quali il fondatore, Andrea Riccardi – con gli anni è divenuta una rete di comunità cristiane che, in più di 70 paesi del mondo, con una particolare attenzione alle periferie e agli emarginati, raccoglie uomini e donne di ogni età e condizione, uniti da un legame di fraternità nell’ascolto del Vangelo e nell’impegno volontario e gratuito per i poveri e per la pace. L’amicizia con chiunque si trovi nel bisogno – anziani, senza dimora, migranti, disabili, detenuti, bambini di strada e delle periferie – è il tratto caratteristico della vita di chi partecipa a Sant’Egidio nei diversi continenti.
Ma la Comunità di Sant’Egidio è attiva anche sul fronte della scuola. Il Corriere della Sera ci informa che all’inizio di questo mese di ottobre la Comunità ha voluto convocare nella sua sede di Roma una conferenza stampa durante la quale sono stati presentati e discussi dati e proposte concrete contro la dispersione scolastica e la povertà educativa.
In quella occasione, il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, ha ricordato che se è vero e penoso che moltissimi bambini nel mondo non hanno la possibilità di studiare a causa della guerra o dell’estrema povertà, non bisogna trascurare il fatto che anche in un Paese tutto sommato ricco come l’Italia, restano forti disuguaglianze educative. Impagliazzo ha parlato della “maternità” della scuola, che deve essere capace di non lasciare indietro nessuno, ma che spesso si scontra con ostacoli sociali e territoriali. “La forbice tra Nord e Sud è enorme – si legge sul sito della Comunità – basti pensare che in Calabria quasi una persona su due è a rischio povertà ed esclusione sociale, mentre in Trentino è meno del 9%”. Una disparità che si riflette inevitabilmente sul percorso scolastico dei ragazzi.
Anche il fenomeno dei NEET (giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) pesa fortemente in questo quadro: in Italia rappresentano ancora il 15,2% dei giovani, uno dei dati peggiori in Europa. E, accanto alla dispersione scolastica esplicita – chi abbandona i banchi prima di un diploma – c’è quella “implicita”, cioè studenti che arrivano alla fine del percorso senza le competenze di base.
Per lottare contro queste gravi criticità, Sant’Egidio ha avviato dal 2022 il programma “W la Scuola”, che ha già coinvolto quasi 3.000 minori: ragazzi che non riuscivano a iscriversi, che si erano persi lungo il cammino o che nessuno andava più a cercare. Il dato più significativo riguarda proprio le iscrizioni: il 69% dei ragazzi che si sono rivolti al programma non era in classe per difficoltà burocratiche o digitali. “Un ragazzo che non riesce a iscriversi – ha osservato Impagliazzo – non è disperso, esiste. Ma rischia di essere dimenticato”.
Da qui una serie di proposte concrete: la prima, estendere il tempo pieno e le mense scolastiche, oggi ancora troppo limitate soprattutto al Sud, con una ricaduta positiva non solo sugli studenti ma anche sulla vita delle famiglie, in particolare delle madri lavoratrici.
La seconda proposta è quella di facilitare le iscrizioni, affiancando alle procedure digitali anche sportelli fisici e delegando alle “scuole polo” la gestione delle domande tardive e dei trasferimenti.
Ultima, ma non per importanza, potenziare l’insegnamento della lingua italiana per i figli di famiglie immigrate di prima generazione, riconoscendolo come il primo strumento di integrazione.
Per la Comunità di Sant’Egidio, in un Paese sano che progetti a lungo termine, la Scuola ha un valore inestimabile: come dichiarato lo scorso mese di maggio dal suo presidente, durante un incontro in Parlamento sul programma di lotta alla dispersione, “la scuola, ovunque si trovi, deve essere accessibile, vicina, utile. Deve toccare il futuro. Occorre andare a cercare quelli che Don Milani chiamava i tanti ‘Gianni’ – coloro che hanno abbandonato la scuola – a casa loro, senza darsi pace”.




