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La scuola fatica a nutrire la democrazia

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La mia esperienza di docente inizia prima dell’introduzione dell’autonomia scolastica, quando ancora il Preside era un leader educativo capace di affrontare e risolvere i veri problemi della scuola: le intricate questioni ricollegate all’età evolutiva e le criticità educative e pedagogiche connesse alla formazione dell’uomo e del cittadino.

A quei tempi, in seno agli organi collegiali, si sviluppavano delle discussioni vere, sentite, franche, incentrate su tematiche didattico/educative e sempre protese all’individuazione delle soluzioni migliori per gli alunni. Tutti eravamo liberi di esprimere le nostre opinioni, senza timore di ritorsioni, piccole o grandi che fossero.

Il confronto costituiva il sale di quell’assetto scolastico, favoriva la visione delle varie problematiche da punti di vista diversi e, quindi, l’individuazione delle soluzioni più appropriate.

Oggi, invece, in molte realtà il confronto è diventato virtuale, poiché un crescente numero di docenti finisce per accantonare le proprie valutazioni e sposare in toto le tesi di chi detiene le leve del comando.

Il paradosso che tante scuole vivono è il seguente: coloro i quali hanno il compito di favorire lo sviluppo armonico della personalità degli alunni – che ha nell’autonomia di giudizio e nello spirito critico i due aspetti caratterizzanti – nel loro agire quotidiano rinunciano a mettere in pratica i valori e i principi che dovrebbero insegnare.

A volte si ha la netta sensazione che i detentori del potere preferiscano disporre di sottoposti pronti a usare la testa solo per fare ampie calate di approvazione, magari accompagnate da sorrisi ipocriti, piuttosto che per ragionare e trovare soluzioni condivise, intelligenti, dotte e, quindi, davvero volte al bene comune.

Oggi, però, caro Ministro, per essere catalogato un buon docente basta poco: è sufficiente essere accondiscendenti, mansueti e attenti a non irritare chi gerarchicamente sta sopra di te. Non importa quello che fai nelle classi, la qualità della tua didattica, la metodologia (vera) che usi, i materiali che metti a disposizione dei tuoi studenti… No, tutto questo non c’entra nulla, non viene preso in considerazione da nessuno; o peggio, nessuno lo sa, né ha interesse a saperlo.

Mi pento di aver salutato con favore, a suo tempo, il nuovo assetto scolastico. Sono pochi i dirigenti che hanno saputo interpretare e applicare con intelligenza le norme autonomistiche, volte alla valorizzazione dei territori e all’esaltazione delle loro potenzialità, operazione molto difficile da portare a termine se non si riesce a liberare quelle energie vitali e preziose di cui la scuola è ricca.

Oggi, in molte realtà, si assiste tristemente a un’interpretazione formalistica, burocratica (nel senso cattivo del termine) e, quindi, inefficace delle norme autonomistiche, che pure – sul piano concettuale – avevano generato tante aspettative positive, ahimè, sistematicamente disattese.

Oggi la scuola fatica a nutrire la democrazia attraverso lo sviluppo del senso critico e dell’autonomia di pensiero dei giovani.

Oggi, caro Ministro, aspettiamo tristemente il collocamento a riposo come unico possibile momento di giubilo.

Lettera firmata