Home I lettori ci scrivono Lingua e identità devono camminare insieme: l’una rafforza l’altra

Lingua e identità devono camminare insieme: l’una rafforza l’altra

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Viviamo in un’epoca di comunicazione incessante, rapida, spesso frenetica. Eppure, paradossalmente, la lingua che usiamo si fa sempre più povera, scarna, appiattita. L’italiano, ricco e articolato, è ormai appannaggio di pochi: molti esitano nel parlato, inciampano nella scrittura, ricorrono a un lessico privo di profondità espressiva. Non sono rari, infatti, coloro che faticano a esprimere concetti complessi o sfumature di pensiero. Di chi è la colpa? Della scuola post-sessantottina, dell’invadenza delle tecnologie, dell’interferenza di altre lingue? O c’è qualcosa di più profondo?

C’è, infatti, almeno un altro fattore – meno evidente, ma forse più decisivo – che agisce in silenzio. Parlare e scrivere con proprietà, usando un vocabolario ricco, una sintassi fluida e nessi logici coerenti, è un’operazione complessa che coinvolge non solo l’intelligenza e la memoria, ma anche l’identità del parlante. L’identità è quell’insieme di conoscenze, valori, riferimenti che ci definisce e ci permette di riconoscere l’altro. E le parole non sono mai neutre: sono figlie della nostra storia e cultura, portatrici di emozioni, visioni del mondo, codici condivisi. A livello collettivo, la lingua è ciò che tiene unito un popolo. È uno degli elementi fondanti di una nazione e di una cultura comune. Lo dimostrano le battaglie per il riconoscimento delle lingue minoritarie – basti pensare alle comunidades autónomas in Spagna o alle regioni italiane del Friuli Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige – che attestano quanto la lingua sia sentita come segno distintivo e diritto fondamentale.

Lingua e identità, dunque, camminano insieme: si rafforzano reciprocamente e contribuiscono a definire chi siamo e come ci relazioniamo con il mondo. Tuttavia, oggi si avverte una crisi profonda. Il concetto stesso di identità, travolto dai venti della globalizzazione, ha perso il valore che aveva un tempo. In molti contesti è diventato persino un tabù, frutto di un pensiero dominante che, in nome di un presunto nuovo ordine globale, tende ad appiattire le differenze e ad equiparare ogni valore.

Che fare, allora? Se vogliamo recuperare padronanza della lingua, dobbiamo nutrire la nostra cultura, rinsaldare i legami con il passato – con la storia e le tradizioni. La lingua non è solo uno strumento di comunicazione: è specchio della società, dell’identità personale e collettiva, è l’anima di un popolo, il cuore di una cultura. La nostra lingua, in particolare, affonda le radici nel latino e si erge su fondamenta solenni. È da lì che occorre ripartire: da quelle radici che molti vorrebbero dimenticare.

La scuola del Ministro Giuseppe Valditara si sta muovendo in questa direzione. Nei documenti emanati dal suo dicastero – ad esempio, le nuove Indicazioni Nazionali 2025 per il primo ciclo d’istruzione – si sottolinea l’importanza di una cittadinanza attiva e consapevole, capace di riconoscere l’altro senza rinunciare alla propria identità. In poche parole, si richiama l’attenzione su valori fondamentali – come la lingua italiana, che oltre a essere la nostra lingua madre, è uno degli idiomi più ricchi e stratificati al mondo, con radici profonde e una tradizione solenne – ai quali non possiamo e non dobbiamo rinunciare. Dal Risorgimento a oggi, la lingua italiana ha avuto un ruolo storico e simbolico nella costruzione dell’identità nazionale. Durante l’unità d’Italia, l’italiano si affermò come simbolo di coesione tra popolazioni divise da dialetti e culture locali. Fu strumento di unificazione culturale, promosso attraverso la scuola, la stampa e, più tardi, i mezzi di comunicazione di massa come la radio e la televisione.

La difesa della lingua italiana rappresenta, dunque, un dovere culturale e identitario di primaria importanza. L’italiano è veicolo della nostra storia, della nostra letteratura e del nostro pensiero: custodisce secoli di evoluzione, espressione artistica e civiltà. Tuttavia, questo impegno non deve tradursi in una chiusura rigida e nostalgica. La lingua è un organismo vivo, che si trasforma con la società e con i bisogni comunicativi delle nuove generazioni. L’incontro con altri idiomi, l’adozione di neologismi, l’uso di termini tecnici o prestiti da lingue straniere – se consapevole e critico – può arricchire l’italiano. Stare al passo con i tempi significa, infatti, accogliere i cambiamenti linguistici come parte del cambiamento sociale. Ma serve equilibrio: tra tradizione e modernità.

Solo così potremo garantire alla nostra lingua un futuro all’altezza delle sfide globali contemporanee.

Ivana Londero