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Maturità 2018, gli studenti alle prese con gli orali

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Oggi primo giorno dei colloqui orali agli esami di maturità.
Con i risultati degli scritti pubblicati il giorno prima, i ragazzi sanno che la votazione finale ora dipende dal colloquio.
Come è noto, si parte dalla tesina, per poi spaziare nelle altre materie, senza necessariamente seguire un filo conduttore. Nel senso di non rendere il tema prescelto nell’approfondimento come vincolante l’intero colloquio.

Una bella prova, nella quale gli stessi ragazzi devono mostrare e dimostrare non solo puntuali informazioni, ma capacità di cogliere e proporre nessi e relazioni.
Una prima domanda. Chi ha il compito, in una commissione, di condurre questo colloquio, a partire dalla tesina?
Domanda non oziosa perchè senza una risposta scontata.
Sappiamo cioè che non c’è uniformità, su questo punto, al di lá del dettato della Ordinanza ministeriale, trascritto poi sul format del verbale.

Spetta, siamo soliti ripetere, al presidente della commissione.
Ma la realtà è diversa. Perché dipende dai presidenti, anzitutto dalla loro preparazione culturale a monte. Perché non tutti leggono o sono in grado di leggere le tesine, al di là che siano di un indirizzo umanistico o tecnico o scientifico. E non tutti sono disposti, dunque, a coordinare e condurre il colloquio, coinvolgendo in modo equilibrato i commissari, secondo tempi certi ed equi.

Il vizio d’origine è di doppia natura: non sempre i presidi delle superiori hanno insegnato alle scuole superiori, quindi in difficoltà a seguire i sentieri culturali previsti dai diversi indirizzi di studio; oppure sono docenti delle superiori a fare i presidenti, preoccupati per lo più degli aspetti formali, e non sostanziali, quindi staccati e distaccati dal flusso culturale, quindi meri burocrati.
E la richiesta da parte dei presidi del primo ciclo di poter fare i presidenti delle commissioni di maturità? Sono tutti in grado di assolvere il compito nello stesso tempo di coordinamento e di stimolo culturale?

Ovviamente, non si fa di un’erba un fascio. Perché tutti ne conosciamo, ed alcuni non avrebbero nessun problema, per formazione e sensibilità, ad assolvere il compito culturale, mentre altri si rinchiuderebbero nel solo ruolo burocratico.

Come si vede, dunque, è soprattutto durante il colloquio che emerge il vero profilo che deve avere un presidente di commissione di maturità. Mentre, purtroppo, sappiamo che non sempre i commissari incontrano presidenti adeguati al compito.

Del resto, quand’è che i ragazzi, soprattutto, lo ripeto, durante il colloquio, possono trovare una situazione nella quale possa emergere lo sfondo culturale di un percorso di apprendimento che, un tempo, addirittura doveva mostrare la “maturità”?

Ma, per chiudere, se questi esami non portano e comportano questo valore aggiunto, a che pro continuare con questi esami? Solo per un valore legale del titolo di studio che nessuno oggi, nemmeno le università, considerano più un punto fermo? Perché spendere 300 milioni di euro in questo modo?