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Mentre il 25% di giovani del Sud emigra, l’industria meridionale rischia di scomparire

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Se da un lato la storia è ricca di eventi che mutano nel tempo dall’altro è caratterizzata da una insipida monotonia.

Facendo riferimento a gattopardiane memorie, mentre sembra che tutti cambi, di fatto non cambia nulla. Oggi come un tempo si emigra in cerca di lavoro, con la differenza che prima il Sud “esportava” solo braccia oggi esporta braccia e menti.
In Sicilia si dice che “mondo è stato e mondo è!” come a dire che nulla cambia. E di fatto il proverbio non dice “mondo è stato e mondo sarà” perché nella lingua siciliana il futuro indicativo non c’è, si è perduto dal Seicento in poi. I giovani meridionali, però, non hanno perso solo il futuro nella coniugazione dei verbi ma anche quello che li riguarda come cittadini di una società civile che la nostra Costituzione, una fra le migliori in Europa, dovrebbe garantire loro.
Secondo lo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), “delle 533mila unità perse in Italia tra il 2008 e il 2010, ben 281mila sono nel Mezzogiorno. Nel Sud dunque pur essendo presenti meno del 30% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite di lavoro determinate dalla crisi”.
Fra le regioni del Meridione in cui il tasso di disoccupazione è più alto in testa vi è la Sicilia con un tasso del 14,7 per cento, seguita dalla Sardegna , 14,1% e dalla Campania 14 per cento.
Nel resoconto Svimez, che ha puntato un riflettore sull’attuale condizione dell’industria meridionale, malata da decenni e per la quale nulla hanno fatto i vari governi per rilanciarla, si evidenzia l’aumento della “zona grigia”. Ciò è dovuto alla crescita dei disoccupati “impliciti” cioè di coloro che una volta licenziati non hanno effettuato azioni di ricerca per nuovi impieghi.
Alla zona “stagnante” di disoccupati, quindi, si contrappone una fascia che vede il 25% di nuovi emigranti, di giovani soprattutto, verso mete europee se non addirittura extracomunitarie.
E’ indicativo il grido e il monito lanciato dal presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia che attacca il governo perché incapace di rimettere in moto il volano dell’economia industriale italiana.