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Pensioni delle donne, un puzzle di regole

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Partiamo da un chiarissimo articolo a firma di Fabio Venanzi sul Sole24Ore del Lunedì – 9 luglio.
 Nonostante i molti “cambiamenti che il sistema previdenziale ha subito negli ultimi vent’anni, (…) nella riforma Fornero-Monti è stata sempre mantenuta, nonostante i graduali innalzamenti di età, la differenza di cinque anni tra i requisiti richiesti agli uomini rispetto a quelli richiesti alle donne. La riforma Amato (Dlgs 503/1992) – che ne ha previsto un primo graduale e timido innalzamento – e la successiva revisione a opera delle legge 724/1994 non hanno inciso su questa regola né sulla prosecuzione volontaria: gli autorizzati entro il 31 dicembre 1992 hanno continuato a conseguire la pensione di vecchiaia al raggiungimento dell’età prevista unitamente a 15 anni di contributi, risparmiati dall’innalzamento del requisito contributivo introdotto dalla riforma”. 
Difatti tutti ricordano che “all’epoca molte persone – soprattutto donne – hanno richiesto l’autorizzazione al versamento in proprio dei contributi per riservarsi la possibilità di conseguire una pensione di vecchiaia con un requisito contributivo inferiore a quello ordinario. Oggi, però il panorama è radicalmente cambiato perché la riforma Monti-Fornero ha messo un punto fermo: dal 2012 la pensione di vecchiaia si consegue solo in presenza di un’anzianità contributiva minima pari a 20 anni. (…) 
Infatti, a causa degli innalzamenti legati sia alla riforma sia agli adeguamenti alla speranza di vita, non è possibile stabilire con certezza l’accesso al pensionamento. Tuttavia, il decreto interministeriale sugli esodati del 1° giugno 2012, in corso di pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale», prevede che i requisiti previgenti il “salva-Italia” continuano ad applicarsi nei confronti dei soggetti che matureranno la decorrenza del trattamento entro il 6 dicembre 2013 nei limiti di 10.250 unità. Il decreto sulla spending review (ndr. revisione di spesa) posticipa questo termine al 6 dicembre 2014 con una stima di ulteriori 7.400 unità che accederanno alla pensione con le regole previgenti”.
La riforma “tecnica” del 2011 guarda a tutto il sistema pensionistico e impone un iter a marcia forzata per l’avvicinamento dei requisiti delle lavoratrici donne a quelli degli uomini. “Il “salva-Italia” (Dl 201/2011) dello scorso 6 dicembre ha previsto che, dal 1° gennaio 2012, sono necessari 66 anni. (…) 
Anche le lavoratrici del settore privato e autonome subiscono un innalzamento del requisito anagrafico, per effetto della riforma Fornero-Monti, ma più lentamente: nel 2012, le prime accederanno alla pensione con 62 anni, le seconde con 63 anni e 6 mesi. Lo scorso anno sia la prima manovra estiva (Dl 98/2011) sia quella di Ferragosto (Dl 138/2011) erano intervenute innalzando il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato: la prima dal 2016, la seconda anticipando l’innalzamento dal 2014. Negli ultimi 20 anni le vere manovre volte alla contrazione della spesa pensionistica sono state fatte da Governi tecnici: Dini (1995) e Monti (2011). Inoltre, secondo il Dl 78/2010, nel settore privato, hanno maturato il diritto a pensione tutte le lavoratrici che sono nate entro il 1951 (60 anni di età entro il 2011), mentre nel settore pubblico le nate entro il 1950 (61 anni di età entro il 2011). Naturalmente, oltre al requisito anagrafico, dovrà essere perfezionato anche il requisito contributivo minimo (15/20 anni a seconda del regime previdenziale applicabile)”.
Per le donne esiste ancora e fino al 2015, come tutte ormai sapranno, l’opzione poco favorevole della scelta della pensione (solo contributiva) che taglia l’assegno anche se riduce i tempi di attesa…“L’innalzamento dei requisiti per il pensionamento portò la legge 243/2004 a prevedere, in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2015, la possibilità di conseguire il diritto all’accesso al trattamento pensionistico di anzianità, in presenza di un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e di un’età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome.
La condizione per poter accedere al pensionamento è subordinata alla liquidazione del trattamento pensionistico secondo le regole di calcolo del sistema contributivo (Dlgs 180/1997). Tali lavoratrici possono conseguire il trattamento di anzianità anche se – al 31 dicembre 1995 – possono vantare 18 anni di contributi, a differenza dell’opzione prevista dalla legge Dini, riservata solo a coloro che non hanno maturato 18 anni di contributi entro la stessa data. 
Le opzioni in base alla legge 335/1995 (la riforma Dini, appunto) consentono di accedere ad alcuni benefici, come l’anticipo rispetto all’età prevista per l’accesso alla pensione di vecchiaia pari a quattro mesi per ogni figlio nel limite massimo di dodici mesi o, in alternativa a tale possibilità, una maggiorazione del coefficiente di trasformazione del montante contributivo rispetto all’età della lavoratrice, pari a un anno in caso di uno o due figli oppure maggiorato di due anni in caso di tre o più figli. (…) Entro il 31 dicembre 2015 il governo dovrà verificare i risultati della sperimentazione al fine di stabilire una sua eventuale prosecuzione. 
La scelta di una pensione contributiva, in luogo di quella retributiva o mista, consente l’accesso alla pensione con notevole anticipo rispetto all’età prevista per il conseguimento della pensione di vecchiaia ordinaria, a fronte di una riduzione – a volte consistente – del trattamento pensionistico. Sempre un maggior numero di donne, dopo l’ulteriore innalzamento dei requisiti stabilito dall’ultima riforma, è interessato al regime sperimentale pur di abbandonare il lavoro, anche se le penalizzazioni inducono a riflettere su una simile scelta”.