Home Archivio storico 1998-2013 Ordinamento Peppino, il giardino e la maestra

Peppino, il giardino e la maestra

CONDIVIDI

Nerai, lo pseudonimo del giornalista che scrive il pezzo su La Sicilia del maggio 1952, racconta una storia che ha dell’incredibile e, se non fosse che riporta nomi e cognomi, circostanze e luoghi, compresa l’immancabile e certificata denuncia, apparirebbe affatto assurda.
Tutto avviene quando il papà di Peppino Vinci, un ragazzino di seconda elementare, constatando il ritardo del figlio (allora i bambini non venivano accompagnati in classe) si reca nella scuola di San Giovanni Galermo di Catania per capire cosa sia successo. E proprio là viene a sapere che Giuseppe si trova in ospedale. Preoccupatissimo e in fibrillazione corre al nosocomio dove trova il figlio con la mano fasciata e una prognosi di 20 giorni.
La prima reazione del genitore fu quella di incolpare dell’accaduto il ragazzo e della sua mania di giocare senza fare attenzione agli incidenti, ma il bambino, di fronte a quei rimbrotti, racconta la sua verità. E’ stata la maestra che, invece di intrattenere gli alunni in classe e fare loro la dovuta lezione, ne aveva mandati alcuni, tra cui Peppino, nella sua villa di San Giovanni Galermo per raccogliere pietre da sistemare per contenere le aiuole. E tra una pietra e l’altra qualcuna, un po’ più subdola, l’aveva seriamente ferito tanto da spedirlo in ospedale.
L’aspetto ancora più singolare di questa storia “antica” sta nel fatto che la maestra, Adele Nicolosi, davanti al pretore, che non mancò di condannarla, si giustificò dicendo che non sarebbe stata lei a mandare Peppino a spalare pietre. “Quel giorno il bambino era venuto tardi a scuola e quindi non l’avevo neanche fatto entrare in classe. Lui, per suo conto, si unì ai suoi compagni. Che c’entro io?”
“Qual è la verità?” si chiede l’articolista, Nerai, imbarazzato. Ma la verità la stabilì il pretore: le maestre non devono pensare al giardino e chi vuole le pietre se li faccia portare da altri e non dai bambini. E superata questa domanda, subito dopo ne arriva un’altra: “Quale triste sorte attende ora il giardino della maestra?” Questo neanche noi, a distanza di più di mezzo secolo, non lo sapremo mai.