Home I lettori ci scrivono Possibili criteri per una differenziazione stipendiale dei docenti

Possibili criteri per una differenziazione stipendiale dei docenti

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Uno dei temi oggi più sentiti sembra quello della valutazione degli insegnanti, della loro carriera, della misurazione del loro tempo lavorativo per arrivare a una differenziazione delle retribuzioni che premi merito e maggiori carichi di impegno. Tuttavia, valutare con oggettività il lavoro di un docente, specie quello svolto in classe, è cosa complicata e difficilmente si potrà arrivare a un sistema capace di soppesarlo in modo completo e adeguato (peraltro un simile sistema non potrebbe, a mio parere, non essere integrato da una revisione profonda delle modalità di selezione del personale). Si può certamente tentare di definire meccanismi che tendano, nei limiti del possibile ovvero del misurabile, a una valutazione della qualità del modo di fare lezione, di ottenere risultati dagli allievi ecc.; si tratta però di questioni molto complesse, che richiedono tempi lunghi di studio e progettazione, che implicano il superamento di tensioni e contrasti tra le parti in causa e che, non da ultimo, avrebbero bisogno di lungimiranza e stabilità politica, nonché di slancio culturale. Per queste ragioni vorrei occuparmi qui solo della possibilità di apportare alcuni correttivi minimi all’attuale sistema, proponendo qualche spunto al dibattito pubblico che, pur riguardando ampiamente la scuola, in realtà prescinde spesso dalla voce di chi nella scuola ci lavora.
Si tratta di individuare alcuni elementi, fondati su criteri oggettivi e dati facilmente riscontrabili, su cui agire con relativa rapidità per ridurre gli squilibri e gli sprechi di risorse umane ed economiche legati all’uniforme trattamento attuale, responsabile di sperequazioni strabilianti e a tratti persino grottesche. Come sa infatti chiunque lavori nella scuola, dati oggettivi che distinguano ad esempio il carico di lavoro fra docente e docente non mancano affatto e non serve neanche un modo particolarmente brillante o sofisticato per individuarli.
Evitando di chiamare in causa elementi esposti a qualsivoglia grado di soggettività (ad es. quanto tempo può essere necessario per correggere un compito di italiano: tutti quelli che lo fanno quasi quotidianamente sanno che si può arrivare a conteggi che apparirebbero inverosimili a chi non abbia mai provato a farlo e quindi tralascio il problema, che pure non è affatto secondario), proverò ad attenermi a quelli che mi sembrano più certi ed evidenti, quelli dai quali si possano ricavare differenze tra i docenti che, in un paese civile, dovrebbero necessariamente corrispondere a differenze di retribuzione (cfr. l’art. 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro»). Li indico di seguito per punti, scusandomi in anticipo con tutti quelli che, lavorando nella scuola, penseranno alla classica “scoperta dell’acqua calda”. Tuttavia, fingendo che qualcuno voglia davvero considerare le cose in modo intellettualmente onesto, ritengo opportuno che questi dati, pur ovvi per gli addetti ai lavori, entrino maggiormente nel dibattito pubblico e arrivino ai moltissimi che, affidandosi ai soliti luoghi comuni strumentalmente utilizzati da molti, di scuola sanno invece ben poco.
1) Le materie che richiedono la correzione obbligatoria di elaborati scritti implicano inevitabilmente un carico di lavoro del tutto assente per chi insegna materie che non prevedono compiti scritti.
2) Ai docenti che insegnano diverse materie sono richieste competenze e un impegno superiori a chi di materie ne deve insegnare soltanto una (ad esempio, per la classe A052 è addirittura richiesta la conoscenza di ben cinque materie nel biennio: italiano, latino, greco, storia e geografia).
3) Chi insegna in classi affollate (es. 30/32 alunni) ha chiaramente un lavoro superiore a chi insegna in classi con meno alunni.
4) Alcune materie prevedono che si insegni in un numero elevato o elevatissimo di classi (si pensi a discipline come lingua straniera o storia dell’arte): ciò richiede un lavoro supplementare in termini di correzione preparazione delle lezioni, di compiti, consigli di classe, scrutini, rapporti con le famiglie ecc. rispetto a chi insegna ad esempio in due classi.
5) Alcuni docenti possono certificare un aggiornamento continuo e un’attività anche di ricerca legata alle materie insegnate per il fatto di aver conseguito titoli di studio aggiuntivi (es. il Dottorato di Ricerca) o di avere pubblicazioni in campo scientifico o, a maggior ragione, nell’editoria scolastica. Ritengo che sarebbe doveroso attribuire a tali documentate competenze un riconoscimento economico. Peraltro, un sistema che valutasse in termini economici titoli di questo genere incentiverebbe quasi automaticamente l’aggiornamento e lo studio da parte di molti docenti.
Si potrà dire – naturalmente assumendosi l’onere di dimostrarlo con argomenti adeguati – che nessuna delle cose elencate valga neanche un euro di retribuzione aggiuntiva, ma credo che in nessun caso si potrebbe affermare che quanto sopra indicato non corrisponda a differenze oggettive di quantità e qualità del corpo docente.
In attesa che altri più complessi e magari più precisi sistemi di valutazione vengano messi a punto, non sembra dunque irragionevole immaginare uno stipendio base, la cui unica forma di variazione (minima) fosse quella dell’anzianità di servizio, integrato da compensi aggiuntivi variabili, i cui incrementi (più sostanziosi) fossero invece legati appunto alle diverse condizioni di servizio (ad esempio, ad ogni alunno in più oltre a un limite indicato come standard dovrebbe corrispondere un surplus stipendiale, come peraltro, da quello che so, accade oggi per i medici di base, che sono pagati anche in base al numero di assistiti) o di aggiornamento professionale.
Peraltro, come sa e come comunque può capire chiunque guardi a questi temi in modo non pregiudiziale o anche solo logico, i punti sopra elencati presuppongono senza ombra di dubbio, che il monte ore di un docente italiano vada ben oltre le tanto vituperate 18 ore, che si riferiscono, è bene ricordarlo, al solo tempo di lezione: preparare le lezioni, correggere i compiti, discutere con le famiglie sono tutte attività imprescindibili che si svolgono ovviamente al di fuori delle ore di insegnamento e – anche questo vale la pena ricordarlo – a casa, con mezzi propri e senza neanche la possibilità di detrarre dalle tasse le spese per l’acquisto di libri, computer, cancelleria ecc., cioè di materiale indispensabile a svolgere il proprio lavoro (lavoro che, stando “imprigionati” tutto il giorno a scuola – come qualcuno vorrebbe assurdamente vedere i docenti – quasi nessuno potrebbe svolgere per la nota carenza cronica di spazi e mezzi adeguati a disposizione).