Home Attualità Rapporto Eurydice, docenti sempre più sotto stress nel Vecchio Continente

Rapporto Eurydice, docenti sempre più sotto stress nel Vecchio Continente

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Il comparto docente, a livello comunitario e globale, non ha mai visto, salvo rare compagini storiche, un interesse politico e sociale coeso, concreto, reale ed organico. La montagna di pregiudizi legati, ad esempio, allo scarso numero di ore settimanali trascorse in classe e ai tre mesi estivi di ferie, senza considerare l’allestimento delle lezioni, consigli di classe, riunioni, GLH e correzione delle prove scritte ne è la prova concreta: un corpo docenti, soprattutto nel Belpaese, anziano, stressato, mal retribuito e con scarse garanzie contrattuali. L’UE ha avviato oramai da numerosi anni la redazione di un rapporto comunitario utile a comprendere, anche per chi non opera attivamente nel settore della formazione scolastica, lo stato di salute del settore e dei relativi dipendenti. I risultati sono agghiaccianti: i contratti a tempo indeterminato sono pochi, manca la formazione continua garantita da norme quali Riforme ed Indicazioni, il lavoro sommerso di fatto abbatte la produttività e la soddisfazione complessiva dei docenti, che operano in condizione di welfare ai limiti della sopportazione, per uno stipendio inadeguato ed aggiornato ad un costo della vita più contenuto. Reclutamento, insoddisfazione, contratti obsoleti e aumenti marginali del compenso, soprattutto nel Belpaese, segnano negativamente il comparto.

Un’istantanea sull’Europa: stress diffuso per gli insegnanti, ridotta mobilità, contratti obsoleti

Quasi la metà degli insegnanti in Europa riferisce di sperimentare un alto livello di stress dovuto alla propria posizione. Le principali fonti di stress individuate dagli insegnanti risultano essere i compiti amministrativi e le burocrazie lunghe e complesse, le mutevoli richieste delle autorità e l’essere ritenuti responsabili dei risultati degli studenti. I livelli più alti di stress sono correlati alla valutazione per la progressione di carriera, ai limitati margini di sviluppo e formazione, a orari di lavoro assai lunghi, e talvolta la difficoltà a gestire classi numerose, con una percentuale relativamente elevata di studenti con DSA. Nel 2018, una minoranza di insegnanti nell’UE (40,9%) è stata all’estero almeno una volta permotivi professionali durante la carriera, come studente o entrambi. Dal 2013 al 2018, si è registrato un aumento di insegnanti coinvolti nella mobilità transnazionale. Considerando i paesi/regioni europei di cui si hanno i dati, la mobilità degli insegnanti è aumentata del + 16%. Per quanto riguarda le condizioni di servizio, l’analisi rivela che, a livello europeo, un insegnante su cinque lavora con contratti temporanei. Questa condizione occupazionale precaria coinvolge in gran parte insegnanti giovani. A livello comunitario, tra gli insegnanti con meno di 35 anni, uno su tre lavora con un contratto a tempo determinato, e in alcuni paesi, più di due terzi dei giovani insegnanti ha un contratto a breve termine.

Il caso del Belpaese: contratti obsoleti, bassi stipendi e reclutamenti annosi

I rallentamenti nel processo di reclutamento di insegnanti a pieno titolo per posizioni a tempoindeterminato nel Belpaese, anche a causa delle limitazioni alla spesa pubblica negli anni passati e tagli continui, hanno spinto a livelli estremi le assunzioni di docenti giovani a breve termine, di fatto garantendo bassi livelli salariali e di welfare competitivo, che si abbatte sulla complessiva soddisfazione professionale del docente. In secondo luogo, la soddisfazione degli insegnanti per il proprio stipendio potrebbe essere influenzata dall’impatto della recente e non chiusa crisi economica del 2009 che ha portato al congelamento o alla riduzione della spesa pubblica in molti paesi. In Francia, Italia, Portogallo e Slovenia, per esempio, negli ultimi 10 anni gli stipendi degli insegnanti sono aumentati molto poco. Gli stipendi di base dei nuovi insegnanti nel 2016/17 sono, di fatto, diminuiti rispetto al 2009/10 in Italia, Portogallo e Slovenia, e aumentati meno del 3% in Francia (Commissione europea/EACEA/Eurydice, 2018). In questi paesi, dal 2016, gli aumenti sono stati marginali se non del tutto inesistenti.