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Recovery fund e riforme. Verso classi di laurea meno rigide

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Facciamo il punto sul Recovery fund e sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che ne è l’espressione italiana. Cosa prevede per le classi di laurea, alla luce, anche, delle ultime dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi?

Sui fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, Bianchi afferma: “Il Pnrr è fondamentale per vincere la battaglia della scuola dell’infanzia, per dare nidi a tutto il Paese, ma anche per la scuola primaria, per una scuola che vada verso il tempo pieno, non come semplice ampliamento del curriculum, ma come possibilità per bambini e bambine di trasformare gli atteggiamenti verso la vita collettiva”.

“A questo dobbiamo aggiungere un curriculum che deve vedere materie più integrate tra di loro”. E continua: “Dobbiamo uscire dalle gabbie del Novecento dove tutto era frazionato, specie alla scuola superiore. Troppo spesso viene messa un’enfasi, che io credo importante ma non più sufficiente, sul disciplinarismo”.

La necessità delle materie più connesse tra loro e di un minore disciplinarismo non è solo un’esigenza interna all’organizzazione scolastica, ma anche il principio che guiderà il mondo universitario, probabilmente, secondo alcuni indizi che ritroviamo nel Pnrr. Meno disciplinarismo e più competenze multidisciplinari, nella visione del Governo Draghi, con crediti formativi meno vincolati e vincolanti e con un focus su tecnologie e ambiente. Parola chiave: flessibilità.

Si legge, infatti, nel documento: Occorre mantenere una apertura nei primi tre anni di università per abbracciare il sapere in modo più ampio. Un sistema di debiti formativi basato su settori disciplinari stretti non permette questa ampiezza nel corso delle lauree triennali. In pratica, il momento della specializzazione andrebbe rinviato alle lauree magistrali (MSc) e ai dottorati (PhD).

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Le dichiarazioni del ministro, quindi, sembrano condurre lungo un filo rosso a quanto si legge nel Piano nazionale di ripresa e resilienza in fatto di riforma delle classi di laurea.

La riforma delle classi di laurea

La complessità crescente che caratterizza le nuove sfide poste dalla modernità (tra cui: pandemia, trasformazione digitale, transizione ecologica) richiede, oltre alla specializzazione, conoscenze sempre più ampie. Per questa ragione, sempre impiegando il benchmark internazionale nel mondo accademico e della ricerca, occorre mantenere una apertura nei primi tre anni di università per abbracciare il sapere in modo più ampio e consentirne una specializzazione durante le lauree magistrali (MSc) o i dottorati (PhD).

A questo proposito, la presenza di programmi di studi vincolati da un sistema di debiti formativi basato su settori disciplinari stretti non permette questa ampiezza nel corso delle lauree triennali. Occorre quindi allargare i settori disciplinari e congiuntamente consentire la flessibilità nella programmazione dei singoli corsi di laurea triennali.

La riforma prevede l’aggiornamento della disciplina per la costruzione degli ordinamenti didattici dei corsi di laurea. L’obiettivo è rimuovere i vincoli nella definizione dei crediti formativi da assegnare ai diversi ambiti disciplinari, per consentire la costruzione di ordinamenti didattici che rafforzino le competenze multidisciplinari, sulle tecnologie digitali ed in campo ambientale oltre alla costruzione di soft skills.

La riforma inoltre amplierà le classi di laurea professionalizzanti, facilitando l’accesso all’istruzione universitaria per gli studenti provenienti dagli studenti dei percorsi degli ITS.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza spiegato da Palazzo Chigi


Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, lo ricordiamo, si inserisce all’interno del programma Next Generation EU (NGEU), il pacchetto da 750 miliardi di euro concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica.
Il Piano italiano prevede investimenti pari a 191,5 miliardi di euro, finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, lo strumento chiave del NGEU.
Ulteriori 30,6 miliardi sono parte di un Fondo complementare, finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile.
Il totale degli investimenti previsti è pertanto di 222,1 miliardi di euro.

Il Piano si organizza lungo sei missioni.

La quarta missione

La quarta missione, “Istruzione e Ricerca”, stanzia complessivamente 31,9 miliardi di euro – di cui 30,9 miliardi dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 1 miliardo dal Fondo complementare.
Il suo obiettivo è rafforzare il sistema educativo, le competenze digitali e tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico.
Il Piano investe negli asili nido, nelle scuole materne, nei servizi di educazione e cura per l’infanzia. Crea 152.000 posti per i bambini fino a 3 anni e 76.000 per i bambini tra i 3 e i 6 anni.
Il Governo investe nel risanamento strutturale degli edifici scolastici, con l’obiettivo di ristrutturare una superficie complessiva di 2.400.000 metri quadri.
Inoltre, si prevede una riforma dell’orientamento, dei programmi di dottorato e dei corsi di laurea, ad esempio con l’aggiornamento della disciplina dei dottorati e un loro aumento di circa 3.000 unità.
Si sviluppa l’istruzione professionalizzante e si rafforza la filiera della ricerca e del trasferimento tecnologico.

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