Home Attualità Riapertura delle scuole. Ci vuole un protocollo pedagogico

Riapertura delle scuole. Ci vuole un protocollo pedagogico [INTERVISTA]

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Mancano pochissime ore alla riapertura delle scuole.
I problemi da risolvere sono ancora tanti, ma domattina, in un modo o nell’altro, più di mezzo milione di docenti rientrerà in classe anche se non tutto è ancora perfettamente a posto.
E c’è anche chi, soprattutto in questi ultimi giorni, aggiunge ancora un nuovo tema, come ha fatto Dario Missaglia con un articolo pubblicato nel sito di Proteo Fare Sapere, associazione di cui è presidente.
Lo abbiamo intervistato proprio per conoscere il suo punto di vista.

Il suo articolo si intitola “Dare un senso pedagogico alla ripartenza nelle scuole”; cosa vuol dire? Cosa ha a che fare la pedagogia con le misure di sicurezza, con distanziamento, banchi, gel e mascherine?

Io credo si debba assolutamente superare una visione solo sanitaria del Covid. C’è anche altro, dobbiamo andare al di là dell’ambiente in cui siamo vissuti in questi mesi, un ambiente fatto di rigore e precauzioni.
Ovviamente sono tutte misure importantissime perché la salute e la sicurezza sono comunque la condizione fondamentale di qualsiasi attività di lavorativa, scolastica o sociale.

Questa visione, però, con il passare delle settimane e dei mesi, ha finito per nascondere un po’ gli effetti che quella situazione epidemica ha prodotto sulle persone e sul sistema delle relazioni fra le persone e i bambini e i ragazzi in particolare.

Perché dobbiamo prestare una attenzione particolare ai più piccoli?
Per essere “buoni”? O ci sono ragioni più profonde?

I ragazzi più grandi hanno maggiore autonomia, hanno capacità di trovare soluzioni; per i più piccoli cambia tutto, e poi bisogna considerare che si tratta anche del periodo in cui si sviluppano maggiormente le capacità cognitive, emotive relazionali.
Vivere in una condizione di deprivazione di tante di queste dimensioni può avere effetti molto pesanti. E a me sembra proprio che questo problema sia stato ampiamente sottovalutato.

Ma come mai in questo periodo siete stati in pochi a parlare della importanza dello “sguardo pedagogico”?

Io penso che ci sia anche una responsabilità politica della Amministrazione. Questa è una vicenda epocale, stiamo attraversando una fase di crisi del sistema educativo; basti sottolineare un dato: nel nostro Paese la scuola non ha chiuso neppure durante le due guerre mondiali.
Abbiamo assistito e stiamo assistendo ad un evento senza precedenti.

Torniamo alla pedagogia: che funzione dovrebbe avere in questa fase?

La pedagogia ha un senso quando aiuta a dare una idea per il futuro, una idea di cambiamento, una ridefinizione di senso.
I giovani avevano avvertito questa esigenza, poi la pandemia ha soffocato il loro movimento a favore del pianete e per un nuovo rapporto fra uomo e natura. La pedagogia è esattamente questo: rimettere all’interno della scuola una idea di futuro.

Fino a questo momento la “questione pedagogica” è passata in secondo piano, ma lei è convinto che diventerà a breve il tema del giorno.
Perché?

Capisco che alla vigilia della possibile riapertura della scuola ci si pongano problemi tecnici (mascherine, banchi, sedie, distanze, cartelli, ingressi, uscite, temperatura), tutti certamente importantissimi;  ma nel momento in cui a scuola arriveranno loro, cioè i bambini e i ragazzi, tutti questi problemi passeranno in secondo piano perchè a quel punto il tema diventerà un altro: e adesso, cosa diciamo, cosa facciamo, come ricostruiamo le nostre relazioni?

Lei ha qualche idea in proposito?

Sto lavorando ad una sorta di protocollo pedagogico che nasce dalle conversazioni amichevoli con altre persone, Raffaele Iosa più di tutti [VAI AL VIDEO]; e presto renderemo noto il nostro elaborato.
Usiamo il termine protocollo in modo un po’ provocatorio: in questi mesi, di protocolli ne abbiamo visti tanti, tutti però di natura sanitaria e organizzativa.
I protocolli sono utili perché servono anche a dare alle persone che lavorano sul campo una certa sicurezza, un certa fiducia, sono un modo per dire loro:  “Sappi che vanno fatte alcune cose”.
Il protocollo, insomma, è un repertorio di comportamenti virtuosi che servono a rendere efficaci determinate azioni.

E il vostro protocollo come funzionerà?

Noi vogliamo che la nostra proposta serva da volano per realizzare esperienze concrete che cercheremo di diffondere e veicolare.
Io credo che si tratti di leggere, osservare e documentare cosà accadrà dal 14 settembre in avanti.
Ovviamente non parlo di documentazione formalizzata, io  penso soprattutto a resoconti e racconti in forma di diario di bordo, racconti che partono magari da un problema e da una ipotesi di lavoro per descriverne gli esiti.