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Scoppia la protesta anche all’Università: contro il Governo due scioperi in 15 giorni

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Prima la scuola, ora l’università: la politica del Governo ha portato alle soglie dello sciopero generale anche il comparto accademico. Se, come probabile, le procedure di conciliazione avviate il 15 ottobre con il Miur non porteranno ad un esito favorevole, le istituzioni e soprattutto il Governo si ritroveranno a dare giustificazioni a due contestazioni unitarie distanti appena 15 giorni una dall’altra.
Superati infatti i tentennamenti degli ultimi giorni a livello di confederazioni generali, anche alla luce della totale mancanza di risposte da viale Trastevere, i maggiori sindacati della scuola si ritroveranno in piazza a Roma il 30 ottobre. Il 14 novembre toccherà a quelli accademici.
A proclamare lo stato di agitazione dei docenti universitari, dei lavoratori della ricerca e dei Conservatori, sono stati i Confederali (Flc Cgil, Cisl Università, Fir Cisl e Uil Pa-Ur.Afam): "lo sciopero – spiega Domenico Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil – sarà il culmine di una grande fase di mobilitazione sociale per difendere i tagli indiscriminati che il Governo vuole applicare ad università, ricerca e conservatori".  
E a sentire l’uniformità di giudizio negativo per la legge 133 è assai probabile che presto si uniranno alla contestazione nazionale anche tutte le altre sigle ed associazioni, in prevalenza autonome, del comparto universitario. Per Luigia Melillo, responsabile di una di queste, l’Associazione professionale universitaria e docente di Bioetica all’Orientale di Napoli, ha detto che "non ci sono soldi, ma solo blocco del turn over e dei normali passaggi di carriera: questo Governo sta sempre più mortificando la funzione pubblica delle università italiane" perché concentra gli sforzi "solo sulla volontà di privatizzarle e trasformarle in fondazioni". Parole in sintonia con quelle dei Confederali.
Nel frattempo anche gli studenti sono passati ai fatti. Da alcuni giorni in diversi atenei, da Roma a Milano, da Firenze a Napoli, si susseguono dibattiti, cortei, mobilitazioni ed assemblee per manifestare il dissenso per le novità legislative contenute nella finanziaria. Molti contestatori hanno già puntato a chiedere il blocco dell’anno accademico.
I motivi della protesta sono quasi una fotocopia di quelli dei prof e riconducibili principalmente al taglio del 20% in cinque anni del `Fondo di finanziamento ordinario’, alla possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato ed al quasi blocco del turn-over del personale docente che verrebbe attuato solo per il 20% dei posti rimasti liberi a seguito dei pensionamenti.
Secondo studenti e docenti questi provvedimenti costituiscono una sorta di blocco del sistema universitario, a cui verrebbe sottratta la possibilità di attuare molto dei progetti sostenuti con i fondi pubblici e i normali passaggi di carriera a cui è in qualche modo legata anche l’attività di ricerca accademica.
I fronti più caldi della protesta sono nei capoluoghi di regione. A Napoli gli studenti hanno occupato il rettorato della Federico II ed in precedenza l’assemblea ‘Stop Gelmini’ ha interrotto il normale svolgimento del senato accademico dell’Università Orientale consegnando ai docenti una lettera aperta attraverso cui chiedono le dimissioni del rettore, l’annullamento dell’inaugurazione dell’anno accademico e il blocco della didattica a tempo indeterminato.  
A Firenze si sono svolte le ‘Lezioni in piazza’: i ragazzi e alcuni professori hanno lasciato le aule per ‘studiare’ in strada. Alla Sapienza di Roma il 15 ottobre cortei di studenti sono arrivati a bloccare il traffico intorno alla cittadella universitaria e a Roma 3 l’assemblea studentesca ha deciso per il 20 ottobre il blocco delle lezioni.
. Le proteste dei collettivi del primo ateneo della capitale, che è anche il più grande d’Europa, non si fermano però solo alla legge 133, ma anche alle novità introdotte dal ministro Brunetta nella Pa e a tutto il governo Berlusconi: il loro modello di riferimento è quello francese dei movimenti del 2006 contro il Cpe, il Contratto di primo impiego, che si conclusero con il ritiro della legge da parte dell’allora presidente Jacques Chirac. Per raggiungere il ritiro della legge 133 ed attuare una politica di investimenti a favore l’istruzione pubblica, i collettivi – costituitisi attorno al movimento ‘Studenti della Sapienza in mobilitazione’ – dichiarano di voler "costituire un grande fronte unico" sul modello francese "che ha visto uniti studenti, precari, lavoratori ed immigrati" e "che alla fine ha vinto, costringendo il governo a ritirare la legge". Notizie di proteste e agitazioni studentesche, con tentativi sparsi di bloccare la didattica, arrivano poi dagli atenei di Milano, Torino, Firenze, Parma, Napoli, Cagliari, Palermo e Reggio Calabria. Alcuni collettivi di facoltà, sempre a Roma, hanno inoltre deciso di partecipare alla manifestazione del 17 ottobre dei Cobas contro la riforma Gelmini. E molti studenti universitari hanno già deciso che parteciperanno anche a quella del 30 indetta dai maggiori sindacati della scuola.
Tra i detrattori delle novità figurano poi non pochi docenti. Addirittura qualche rettore.  Come quello di Verona, che ha detto che "se le cose continueranno a seguire questa direzione, nel 2010 tutte e 66 le università statali italiane saranno in emergenza". Protestano pure i presidi. Secondo Roberto Antonelli, preside della facoltà di Scienze umanistiche alla Sapienza, quella varata dal governo "non è né una riforma né una controriforma ma è un omicidio che ha per vittima l’università e la ricerca". Antonelli si sarebbe anche impegnato a portare le richieste degli studenti davanti al Senato accademico e a chiedere il blocco dell’anno accademico in corso.
Guido Pescosolido, preside della facoltà di Lettere, sempre alla Sapienza, ricorda che martedì prossimo si riunirà il senato accademico per valutare e discutere il decreto 133: "Un decreto – ha sottolineato Pescosolido – che deve essere oggetto di ridiscussione e di trattativa perché finora è stato un provvedimento imposto".