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Scuola e famiglia si attrezzino per intercettare il disagio dei giovani. È l’unica forma di prevenzione

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Lo psicoterapeuta Matteo Lancini torna a esprimersi sul disagio giovanile e sulle sue manifestazioni più estreme, come in Austria – il recentissimo caso di un ventunenne che, tornato nella sua ex scuola, ha aperto il fuoco uccidendo dieci persone – o in Francia, dove un quattordicenne ha ucciso a coltellate una collaboratrice scolastica. In questi casi, le reazioni a caldo degli esperti e dei politici sono sempre le stesse e la parola d’ordine più condivisa è ‘vietare’. Come ha fatto il presidente Macron che, dopo l’omicidio che abbiamo appena ricordato, ha dichiarato alla stampa che la Francia avrebbe bandito i minori di quindici anni dai social network entro pochi mesi.  I social, gli smartphone, i videogame violenti sono, dunque, la fonte di tutti i mali?

Lancini – psicologo e psicoterapeuta, docente all’Università di Milano Bicocca, presidente della Fondazione Minotauro di Milano e autore di numerosi studi sul disagio adolescenziale – non ci sta. Qualche giorno fa, in un’intervista al quotidiano Avvenire, ha espresso tutta la sua disapprovazione rispetto a questa idea imperante un po’ dappertutto, che basti cioè vietare, interdire, punire, perché un fenomeno planetario e complesso come il disagio adolescenziale sia risolto. Così, come per magia.

Lo psicoterapeuta si indigna perché a fronte degli orrori che la televisione ci propone da mattina a sera – guerre in ogni parte del mondo, bombardamenti, violenze, torture, bambini massacrati – quello che riusciamo a fare è additare la durezza e brutalità di tanti videogiochi come causa della violenza dei giovani. O la violenza intrinseca dei social, da vietare a ogni costo.

Dalle pagine di Avvenire, Lancini sembra avere una certezza di segno opposto: questi episodi di violenza estrema hanno dei collegamenti diretti con la disperazione. Sono – sostiene l’esperto – progetti di violenza disperata, tra un vuoto identitario e una assenza di prospettive future. Perché poi questi progetti diventino una strage come in Austria, un gesto di violenza come in Francia, un suicidio, oppure una scelta di ritiro sociale, bisogna vederlo in base ai percorsi individuali. Quando il disagio non trova forme di simbolizzazione – continua Lancini –  quando la rabbia e la paura prendono il sopravvento sulla tristezza, il gesto diventa violento e disperato. Di fronte a queste situazioni non dobbiamo stupirci che prendano corpo anche progetti vendicativi molto violenti perché in questi casi, non dimentichiamolo, c’è anche la componente che nasce dal desiderio di apparire, nella convinzione fuorviante che il mio gesto estremo venga fissato per sempre, quasi reso eterno nella società massmediatica.

Lancini aveva già espresso quest’idea, quando in un commento sulla serie “Adolescence” si era detto certo che le cause della violenza dei giovani non stessero nei social quanto, al contrario, nell’assenza di adulti di riferimento.

Qui il professore rincara la dose, affermando che c’è un urgente bisogno di aiutare gli adulti ad alfabetizzarsi emotivamente. La disperazione non nasce perché un ragazzo ha avuto troppo – afferma testualmente Lancini – ma perché gli adulti di riferimento hanno messo a tacere le sue emozioni, perché non è stato ascoltato, oppure lo è stato, ma a patto che esprimesse emozioni non disturbanti, cioè quello che noi adulti volevamo sentire.

Sia la famiglia che la scuola, dunque, devono attrezzarsi per riuscire a leggere in tempo – cosa difficilissima – i segnali premonitori. Non sapremo mai, conclude lo psicoterapeuta, quanti, tra i ragazzi che avrebbero voluto compiere gesti simili, anche non così estremi, hanno trovato un adulto competente con cui parlare e questo è stato sufficiente per spegnere la violenza, per evitare la tragedia.