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Scuola primaria: gli effetti (non positivi) dell’anticipo che ormai si sta diffondendo anche fra le famiglie non italiane

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Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione nei confronti dell’andamento scolastico dei bambini di seconda generazione, ovvero i figli di immigrati nati in Italia. Nonostante condividano il contesto educativo e linguistico con i loro coetanei nativi, questi alunni si trovano spesso a dover affrontare ostacoli aggiuntivi legati a condizioni socio-economiche più fragili e a una minore padronanza della lingua italiana da parte delle famiglie.
A fornire nuovi dati su questo tema arriva ora uno studio di tre ricercatori (Antonio Abatemarco, Immacolata Marino e Giuseppe Russo) pubblicato in questi giorni nel sito Lavoce.info.

Si parte da un punto fermo: i dati Invalsi mostrano un divario scolastico significativo; in media, i bambini di seconda generazione registrano risultati inferiori di 8,25 punti percentuali in italiano e di 7,14 punti in matematica rispetto ai nativi. Sebbene queste differenze siano in gran parte attribuibili alle diseguaglianze socioeconomiche, esse non si esauriscono qui. Anche a parità di condizioni sociali, persiste un divario che evidenzia un vero e proprio “doppio svantaggio” legato all’origine migratoria.

Il ruolo dell’età relativa

Un aspetto poco considerato ma decisivo riguarda gli “age effects”, ovvero l’impatto dell’età nei primi anni di scuola primaria. Pochi mesi di differenza nella data di nascita possono tradursi in rilevanti diseguaglianze di maturità fisica, cognitiva ed emotiva. Non è solo l’età assoluta a contare: l’età relativa, ossia il confronto con i coetanei della stessa classe, può influenzare profondamente l’autostima e il rendimento scolastico.
In Italia, a causa della possibilità di anticipare l’iscrizione a cinque anni, la differenza di età tra i bambini più grandi e quelli più piccoli di una classe può arrivare a 14 mesi. L’analisi condotta dagli autori della ricerca conferma che l’effetto dell’età relativa è penalizzante per tutti, ma in misura ancora maggiore per i bambini di seconda generazione: a parità di condizioni, i più giovani tra loro registrano risultati inferiori del 3,3% in italiano e del 3,4% in matematica rispetto ai nativi.

Il ruolo (negativo) degli “anticipi”

La ricerca conferma un dato che si conosce da tempo: la percentuale di alunni anticipatari nella scuola primaria tende ad aumentare spostandosi dalle regioni del nord a quelle del sud; in altre parole le famiglie del sud tendono a mandare scuola i propri figli un anno prima con maggiore frequenza di quanto accade al nord.
Ma il dato curioso è un altro: la propensione ad anticipare l’iscrizione varia tra regioni e le famiglie di seconda generazione non sembrano adottare comportamenti diversi da quelle autoctone.
“In altri paesi, come gli Stati Uniti – osservano gli autori – esistono forti divergenze nei comportamenti di iscrizione scolastica tra gruppi sociali diversi. In Italia, invece, le regole di accesso e l’offerta pubblica contribuiscono a mantenere una certa uniformità”.

Differenze di genere e il ruolo dell’educazione prescolare

Anche le differenze di genere non devono essere sottovalutate: le bambine di seconda generazione nate nella seconda metà dell’anno risultano particolarmente svantaggiate, mostrando penalizzazioni più marcate rispetto alle coetanee native.
I dati evidenziano però che i bambini che hanno frequentato il nido tendono a colmare il divario legato all’effetto dell’età relativa e all’origine migratoria. L’investimento nella prima infanzia, come sottolineato anche dal premio Nobel James Heckman, si rivela così fondamentale per favorire l’inclusione e contrastare precocemente le disuguaglianze.

Quali politiche per il futuro?

Alla luce di questi risultati, emerge la necessità di politiche scolastiche più attente alle intersezioni tra età, genere e origine familiare. Ampliare l’accesso agli asili nido, bilanciare meglio la composizione per età delle classi e fornire supporti mirati ai più piccoli sono strumenti fondamentali per promuovere equità e integrazione.
Anche le famiglie possono svolgere un ruolo cruciale. Una maggiore consapevolezza sull’impatto dell’età relativa potrebbe spingere molti genitori a valutare con attenzione l’ipotesi di rinviare l’ingresso a scuola, trasformando quello che sembra un semplice ritardo in un importante investimento per il futuro scolastico dei figli.
Gli autori concludono che riconoscere che non tutti i bambini partono dalle stesse condizioni è il primo passo per costruire un sistema educativo più giusto ed efficace.