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Scuole paritarie: lo sciopero con l’imprimatur CEI

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“Niente soldi alle scuole paritarie. Bassetti: Fatevi sentire” così il 15 maggio, tempi.it titolava l’intervista al presidente della CEI; nello stesso giorno le Presidenze Nazionali USMI e CISM organizzavano una tavola rotonda a distanza in cui si decideva l’interruzione delle lezioni nei giorni 19 e 20 maggio; veniva perciò emessa una “ Nota congiunta CISM ed USMI a tutti i Superiori Maggiori ”.
Il giorno successivo, 16 maggio, le stesse Presidenze emettevano un “ 2° Comunicato congiunto USMI – CISM”, mentre l’AgenSir battezzava come “ primo sciopero” l’interruzione delle lezioni nei giorni 19 e 20 maggio; sempre il 16 maggio, TS riprendeva la notizia: “ Paritarie in sciopero il 19 e 20 maggio, dal decreto Rilancio solo 80 milioni: valgono più bici e ombrelloni
Appare chiaro che non si tratterà di uno sciopero (di norma indetto dai sindacati dei lavoratori contro la proprietà o il padrone), ma forse di una serrata (decisa dalla proprietà e insieme gestione), o meglio di una serrata virtuale e impropria, o ancora si tratta di una protesta politica (serrata bianca?) verso il Governo, che pure non è il proprietario delle scuole paritarie; per praticità conviene continuare a chiamare sciopero la protesta programmata.

Le richieste

Finalmente due sigle rappresentative – CISM e USMI e indirettamente anche la CEI – hanno sottoscritto in un loro documento le richiese delle scuole paritarie! Nella “nota congiunta” si può leggere: “…. il 30% delle scuole paritarie è a rischio chiusura, 300mila sono gli allievi che busseranno alla scuola statale che già oggi rischia il collasso, 2.4 mld di euro costerà in tasse questo disastro del non riconoscimento ….”; questi tre numeri circolavano ampiamente e con insistenza nei social già da un paio di mesi, però senza indicazione della fonte, quasi fossero funghi di origine ignota; ora hanno una tripla paternità vera o putativa! Almeno ora sappiamo chi li garantisce; è certo un passo avanti, però mancano ancora le fondamenta, cioè i dati, i procedimenti, le eventuali indagini da cui sono stati ricavati, per poterli verificare e monitorare, e mancano anche elementi per la quantificazione del “rischio chiusura”.
E poi soprattutto, occorre sapere, a fronte di possibili, futuri e aleatori risparmi per ben 2,4 mld di euro per lo Stato, a quanto ammonta la richiesta o la proposta economica certa – oggi – delle scuole paritarie. Basta il 10%, o il 50%, oppure serve l’80% dei 2,4 mld indicati? Ancora, quale è la probabile o stimata riuscita dell’operazione salvataggio? In altre parole, si può escludere o no che a fronte di un contributo statale (cioè della collettività), le paritarie attireranno poi iscritti bastevoli alla loro non-chiusura? Al momento sembra che ogni rischio e responsabilità di riuscita e di valutazione debba essere a carico dello Stato e delle risorse da erogare, e che queste potranno essere sempre giudicate insufficienti.

Il diavolo è sempre nei dettagli

Infatti, risultano situazioni di chiusura non determinate (almeno in periodi ante-pandemia) da mancanza di risorse economiche, ma dalla mancanza di suore, per motivi di età avanzata e-o di poche nuove vocazioni.
È di questi giorni la notizia dal comune di Buonabitanolo – provincia di Salerno, 2.500 abitanti, circa 20 nascite all’anno, una parrocchia – dove “ chiude dopo 88 anni la Scuola dell’Infanzia gestita dalle suore”.
Anche il calo delle nascite, ormai più che decennale, determina riduzione di iscritti, conseguente diseconomicità (almeno calcolata, come avviene ora, sulla singola struttura e sul singolo servizio) e ipotesi di chiusura.
Da notare che le paritarie cattoliche dell’infanzia (ma anche le primarie e le secondarie di I e II grado) hanno in media pochi iscritti cadauna: 68,6 a Nord, 49,5 al Centro, 37,8 al Sud; nelle scuole del Sud basta il calo di un paio di iscritti per concretizzare l’ipotesi chiusura.
Altra considerazione, ha senso ed è utile dare alle famiglie un contributo statale con destinazione obbligata verso la scuola paritaria, mentre magari è insufficiente o assente il sostegno alle necessità primarie (vitto, vestiario, bollette, ….)? pertanto lo Stato dovrebbe esaminare anche la possibilità alternativa di rilevare direttamente alcune scuole d’infanzia, ivi compreso tutto il personale.
Non risulta, nei documenti disponibili, che CISM, USMI e CEI abbiano sviluppato anche queste considerazioni.

CISM e USMI vogliono anche il costo standard?

Alcune questioni vanno chiarite. La prima è se lo sciopero proclamato è finalizzato solo alle questioni contingenti per scongiurare la possibile chiusura di scuole, oppure è anche finalizzato al conseguimento del costo standard.
Leggiamo infatti nel Comunicato congiunto CISM e USMI del 16 aprile: “Non è più il tempo del silenzio, per questo chiediamo al Governo non mezze misure, ma un gesto di coraggio e di giustizia sociale, dando compimento all’articolo 33 del dettame costituzionale – diritto di Enti e privati di istituire scuole- e alla 62/2000, completando la riforma e riconoscendo fondi alle scuole pubbliche paritarie come alle pubbliche statali, così come accade in tutti i Paesi europei”. Al momento, sembra di sì.
In proposito, osserviamo che il costo standard è questione annosa, irrisolta, arenata ormai da più di due anni dall’ex ministro Bussetti/Lega (vedere: “ La saga del costo standard”).
Altra questione è costituita dal diverso approccio opportuno fra scuole infanzia e altre scuole (primarie e secondarie); infatti il grosso delle scuole cattoliche è concentrato nel settore scuole infanzia, con 330mila iscritti nel triennio 4-6 anni (a fronte di corrispondenti 900mila iscritti nelle statali o comunali); mentre le scuole cattoliche raccolgono solo 240mila iscritti nei tredici successivi anni fra primaria e secondarie; è palese, indiscutibile la carenza di scuole d’infanzia statali e comunali; di conseguenza, è altresì indiscutibile che la massima parte delle 330mila famiglie non ha avuto alcuna possibilità di scelta ma è stata costretta a rivolgersi alle paritarie cattoliche (o laiche, qui però non considerate); ebbene appare opportuno sostenere queste famiglie anche a prescindere dalla situazione di pandemia.
Invece nel settore 6-19 anni, esiste disponibilità di scuole statali, e le paritarie sono effettivamente scelte da chi può sostenere le loro rette; qui il sostegno statale appare non necessario né opportuno perché ricadrebbe indirettamente anche sulle famiglie che non hanno scelto o potuto scegliere le paritarie cattoliche.
Anche qui, non risulta che CISM, USMI e CEI abbiano sviluppato queste considerazioni
Vincenzo Pascuzzi