Home Archivio storico 1998-2013 Generico Sempre più prof in crisi da burnout: e i presidi non sanno...

Sempre più prof in crisi da burnout: e i presidi non sanno che fare

CONDIVIDI
Fare il docente è sempre più usurante: incertezza professionale, carriera bloccata, disagio nel rapporto con le nuove generazioni, scarsa considerazione sociale sono solo alcuni dei motivi che negli ultimi anni hanno trasformato una delle professioni ambite in un mestiere a rischio. A confermarlo ora sono anche i presidi: secondo una ricerca realizzata dall’Anp – Associazione nazionale dirigenti e alte professionalitàdella  scuola in collaborazione con la fondazione Iard, non sapendo come gestire questo tipo di problemi i dirigenti spesso si rifugiano nel nulla di fatto o nel minimizzare le conseguenze.
Anche i numeri parlano chiaro: dei docenti esaminati dai collegi medici quasi il 70% dei docenti è affetto da problemi psichiatrici, mentre appena pochi anni fa erano il 50%.
L’indagine, presentata il 21 maggio a Montecitorio, ha esaminato un campione di oltre 1.100 dirigenti scolastici e quasi 300 collaboratori operanti in tutto il territorio nazionale: gli elementi più rilevanti sono che il 61% dei dirigenti scolastici con anzianità di servizio superiore ai 10 anni hanno affrontato direttamente casi di disagio mentale professionale durante la loro carriera. Solo il 12% del campione non ha mai incontrato, né sentito parlare, di insegnanti con problemi psichici.
Ebbene, quasi tre quarti del campione ritiene utile, “anche a costo di sacrificio”, proporre interventi o corsi di informazione relativi al disagio mentale rivolti ai docenti, favorendo così la prevenzione del rischio professionale, la condivisione dello stress nonché il reinserimento lavorativo protetto dagli insegnanti in difficoltà.
Lo studio ha fatto emergere che meno di 1 dirigente scolastico su 4 è a conoscenza dei rischi di salute di origine professionale negli insegnanti. La gran parte del campione si limita a riconoscere un “malessere” (il cosiddetto burnout), ma rifugge dal pensare che lo stesso possa gradualmente evolvere in patologia psichiatrica conclamata o concorrere a determinare infermità di altro tipo.
Decisamente significativo il fatto che meno dell’1% del campione ha risposto correttamente a tutte le domande, mentre un solo dirigente su venti applica il corretto iter per affrontare il problema. “E’ evidente – ha detto Giorgio Rembado, presidente dell’associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola – che i presidi si sentono giustamente impreparati a gestire i casi di disagio mentale e chiedono all’unanimità formazione e supporto specialistico nell’affrontare la materia”.
Il problema è che spesso i presidi non sanno proprio quale sia il male minore: “Molti tra quelli interpellati – dice sempre Rembado – onestamente dichiarano di non sentirsi preparati ad affrontare casi di disagio mentale professionale e pertanto all’occorrenza temono di dover gestire senza un’apposita formazione professionale situazioni di emergenza, stretti tra opposte reazioni difensive, quella dei soggetti afflitti da malessere che cercheranno di sottrarsi ad accertamenti diagnostici e le fondate proteste e preoccupazioni dei genitori”.
Rembado tenta anche di indirizzare le istituzioni: “Il Governo non deve rimuovere un problema derivante dall’unione di due argomenti “scabrosi”: le patologie della scuola (bullismo, violenza sui minori, ecc.) e le patologie mentali, ma farsene carico”.
Non è più possibile, invece, continuare ad ignorare il problema: “Adottare la strategia dello struzzo non serve – continua il leader Anp – perchè è sempre più urgente affrontare il malessere degli studenti, il disagio dei docenti e soprattutto le responsabilità dei capi di istituto, spesso impegnati non solo a prevenire, ma anche e soprattutto a gestire da soli il problema”. Anche i sindacati potrebbero fare di più, visto che “hanno il compito – conclude Rembado – di rappresentare gli interessi del personale e tutti coloro che hanno a cuore la qualità dell’istruzione, perché è fin troppo chiaro che senza un solido equilibrio psicologico degli addetti ai lavori non esistono le condizioni per fare una buona scuola”.
La ricerca ha anche fatto emergere come i presidi, seppure allarmati, non si rendono conto fino in fondo delle conseguenze cui possono andare incontro coloro che si ammalano di burnout: il 60% tenderebbe infatti a sottovalutare i rischi di incolumità dell’utenza derivanti da queste situazioni pensando che “possa portare solamente a disservizi”.
In ogni caso due dirigenti su tre non si ritengono opportunamente appoggiata dagli uffici competenti (Uffici scolastici provinciali e regionali) nella gestione dei casi a rischio. Interessante anche il dato dell’88% dei presidi che riterrebbe utile studiare il rapporto tra menopausa e malesseri psichico.
La necessità di informare i presidi sugli effetti collaterali della menopausa andrebbe presa in considerazione anche “alla luce – spiegano i curatori del rapporto – della femminilizzazione della classe docente (85%), dell’età media (49,8) e delle 4 riforme previdenziali occorse dagli anni ’90 a oggi: nessuna ha tenuto conto di questa fase delicata nella vita delle lavoratrici che nel caso di un’insegnante donna assomma una cospicua serie di pesi”.
La presa di coscienza del problema comunque è ormai accertata: il 71% dei dirigenti sarebbe disposto a ricorrere a contratti di sponsorizzazione pur di reperire i necessari finanziamenti per contrastare il disagio psichico nei docenti, mentre il 29% si limiterebbe ad attuare interventi unicamente se supportati da fondi istituzionali.
Alla conferenza stampa di presentazione della ricerca hanno preso parte anche esperti del mondo della scuola e politici: pressoché unanimi gli interventi, tutti orientati ad affrontare il problema attraverso un maggiore impegno.
I risultati di questa ricerca mi hanno sconcertata – ha dichiarato nel suo intervento il sen. Mariapia Garavaglia (responsabile Scuola nel ‘Governo ombra’) – perchè se alla società sfugge l’importanza della formazione, il Paese muore, ecco perchè mi impegno a creare un ponte fra le politiche della salute e quelle dell’istruzione”. Dello stesso avviso l’on. Valentina Aprea (responsabile Scuola Fi: “Questi dati non ci fanno stare tranquilli ed è chiaro che occorre studiare un modo per prevenire il fenomeno, non possiamo permetterci di arrivare tardi. Bisogna aiutare gli insegnanti che si ritrovano spesso ‘nudi’ di fronte alla classe e quindi frustrati a causa dell’assenza di autorità dovuta alla mancanza non solo di strumenti adeguati, ma anche di complicità con le famiglie”.
Vittorio Lodolo D’Oria, medico responsabile dell’area Studio e tutela del benessere psicofisico degli operatori scolastici dello Iard e tra i massimi esperti dei malesseri psichici tra i prof, ha invece posto l’accento sui pregiudizi che spesso accompagnano la professione di insegnante: “anche in famiglia – ha detto Lodolo D’Oria – il professore viene visto come colui che non lavora, o meglio, che fa un lavoro poco faticoso”. E forse il punto centrale è proprio questo: la sempre più bassa considerazione per dei professionisti sempre più in crisi di identità.