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Storie di scrutini ai tempi del Covid

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Giugno 2021, tempo di scrutini.
Insegno da più di trent’anni e ho assistito a tante amenità nel corso della mia carriera al punto da aver pensato, più di una volta, di scriverci un libro; ma chi mai comprerebbe un libro oggi? E, per di più, un libro sulla scuola?
L’esperienza che ho appena vissuto, però, mi mancava.

Scrutinio di giugno di una classe quarta superiore, problematica dal punto di vista disciplinare (almeno a parer mio), nella quale un buon gruppo di alunni ha più o meno esplicitamente smesso di studiare la materia che insegno (matematica) dall’inizio del lockdown, praticamente da marzo 2020. A poco sono valsi i miei tentativi di docente navigata di scuoterli dal loro torpore: la mia ricerca del perfetto equilibrio tra i proverbiali bastone e carota nulla ha potuto di fronte alle mille possibilità di svicolare offerte dalla DAD. Per non parlare del “liberi tutti” annunciato a marzo dello scorso anno scolastico dall’allora ministro L. Azzolina!

Il tabellone dei voti, quindi, presenta inevitabilmente nella colonna della mia disciplina (solo in quella…) una bella sequenza di insufficienze che io stessa ho cercato di mitigare rispetto alla situazione reale per una questione di decenza, prima di tutto nei confronti del mio operato.
Il dirigente che presiede lo scrutinio formula la sua proposta: “E’ chiaro che ogni precedente tentativo con questi ragazzi non ha avuto successo. Dobbiamo sbaragliarli; loro si aspettano l’insufficienza? Ebbene, noi assegniamo loro sei. Così riusciremo a scuoterli.”

All’inizio penso ad un problema di audio nella mia connessione (gli scrutini in tempo di Covid si svolgono da remoto), poi mi rendo conto che ho sentito bene e, nella mia mente, cerco di ricordare a quale possibile corrente pedagogica il mio superiore stia facendo riferimento… ma non mi viene in mente niente. Faccio presente la ricaduta educativa di tale proposta, chiedo perché sia disdicevole per un alunno provare a dedicarsi almeno un po’ nei mesi estivi ad una sola materia, quella che l’anno successivo sarà oggetto della seconda prova scritta all’esame di Stato. “Professoressa, crede lei che un ragazzo che non ha studiato per un anno e mezzo si metterà a studiare adesso? Crede che scenderà dal cielo Mosè a smuoverlo? Se anche andasse a settembre, sarebbe la stessa cosa e mica si boccia un alunno con una sola prova negativa!”.

Io non credo alle mie orecchie; aspetto un intervento da parte dei miei “colleghi” ma mi rendo conto che non verrà: qualcuno è giovane supplente (pieno di buona volontà ma facilmente manipolabile), altri sono quelli che in DAD facevano svolgere verifiche (a distanza) a crocette rigorosamente uguali per tutti e adesso non si capisce nemmeno se siano presenti (audio e video disattivato, per “non disturbare la linea”), altri ancora sono semplicemente indifferenti e non vedono l’ora che la riunione termini.
A fatica pretendo di leggere le valutazioni riportate dagli studenti nel corso dell’anno (esigo almeno che i colleghi siano consapevoli della responsabilità che si assumono); in realtà non mi ascolta nessuno: fa caldo, è tardi e altri scrutini incombono, la coordinatrice sta già eliminando i voti negativi dal tabellone del registro elettronico.

Alla fine delle operazioni, qualcuno si accorge che nella concitazione e nella fretta un alunno è sfuggito all’operazione maquillage; si tratta di un ragazzo particolarmente fragile e con una situazione familiare delicata. A lui solo è rimasta l’insufficienza originariamente assegnata. Tra i colleghi è lo sconcerto: rimediare è impossibile, alcuni si sono già disconnessi.
A quel punto io, che nel frattempo ho rinunciato ad ogni ulteriore intervento, senza pensarci dico: “Io mi esprimo a suo favore”; in questo modo anche lui, come gli altri suoi compagni, è “salvo”. Una collega mi ringrazia, dice che ho evitato al consiglio di classe una situazione imbarazzante.
Io mi sto ancora chiedendo se ho fatto bene.

Lettera firmata