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Talebani crescono: guai ai dissidenti

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“Chi non beve con me, peste lo colga!”, diceva Pietruccio nella “Cena delle beffe” di Sam Benelli. Oggi, che dalla taverna si è passati ai social, sempre più spesso si legge: “Chi non la pensa come me, peste lo colga” e in mancanza di questa perfino una cartuccia lo colga;  e poi giù sotto a elencare una serie di offese, di largo conio, da fare arrossire, e arrabbiare, perfino il più mite degli uomini e delle donne. 

Ma non solo, quando l’argomento non conviene, non solo si passa alla offesa personale e diretta, nella incapacità di argomentare o smontare l’articolo con intelligenza e sagacia, ma si arriva perfino alla minaccia, personale e diretta, come quell’insegnante a cui non piacque l’accusa, documentata, che noi facemmo a dei prof  neghittosi e ignoranti che non correggevano i compiti ai ragazzi, né mostravano gli elaborati, limitandosi a qualche domanda orale per mettere voti presi chissà da quali fondali dell’ignavia: non lo dovevamo scrivere (chissà per quale motivo)  e la parola più gentile fu che meritavamo il cappio (sic), in somiglianza del fascismo più becero o del “talebanismo” più violento.   

E di esempi simili ne potremmo citare qualche centinaio.    

Allo stile talebano, insomma, sono costoro, così presi dal loro integralismo, da non consentire dissidenze, né denuncia, né segnalazione, pena una sventagliata di proiettili o il carcere per blasfemia: il burqa, senza se e senza ma, o il bavaglio, perché quella del tale (o dei tali, ahimè) è la legge del pensiero unico, imposta, dittatoriale, ferina: guai a chi dissente dal dogma. 

Tutto il resto non conta. E la dissidenza, rispetto alla sicumera del talebano, deve essere punita con ogni mezzo: e giù parolacce, offese e minacce, ingiurie.   

Sicuramente, meno male che non sono armati, taluni di questi fondamentalisti del pensiero, altrimenti ne vedremmo delle “brutte”, nella convinzione che il loro concetto base, o, per meglio dire, la loro dottrina, sia l’unica da praticare e professare, e ai dissenzienti “peste li colga”, negando così il diritto al pensiero critico e alla divergenza anche se  argomentata e motivata: come i talebani appunto che magari poi costoro criticano e che manderebbero al macello. Che ci potrebbe pure stare, ma solo quando al posto della parola si usano le armi, benchè niente e nulla le giustifichi.

Come questi leoni del social, i quali, quando un argomento non li convince o dissente dalle loro visioni del mondo, si arrampicano subito sulle barricate e iniziano a sperare cattiverie, invettive, ingiurie, insulti tutti fine a se stessi, e senza un briciolo di dialettica costruttiva, fino a passare alla minaccia vergognosa.

È naturale che ciascuno ha una propria convinzione e una propria idea, ma da qui a lasciarsi dondolare sull’altalena dell’improperio diretto e personale e perfino alla minaccia, ne corre.

Per questo consigliamo a costoro, a chi reputa avere nel petto e nella mente la verità assoluta, per cui tutti gli altri sono in malafede o criminali incalliti, di ripassarsi qualche buona lettura di democrazia  e di tolleranza. Non si sa mai, forse potrebbe pure fare comodo anche alle persone che stanno loro intorno.