Home Precari Abilitazione, può cambiare tutto dopo la sentenza del Tribunale di Roma?

Abilitazione, può cambiare tutto dopo la sentenza del Tribunale di Roma?

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La sentenza del Tribunale di Roma dello scorso 22 marzo 2019, potrebbe sconvolgere gli scenari relativi all’accesso a scuola come insegnante. Infatti, il foro romano ha stabilito che l’abilitazione all’insegnamento può essere considerata valida con la laurea magistrale ed i 24 CFU.

A partire dalla pubblicazione di questa sentenza, sono in tantissimi i lettori che hanno chiesto spiegazioni sulla vicenda, intravedendo delle speranze che per chi volesse entrare nelle graduatorie di istituto e più in generale diventare docente.

Va detto subito che si tratta di una sentenza di un Tribunale del Lavoro, destinata a probabili seguiti, ma che riguarda solo il caso di un docente, che si è rivolto all’associazione MSA per ottenere giustizia a suo parere.
Esiste la possibilità che un Tribunale influente come quello capitolino possa dare l’avvio ad una giurisprudenza orientata in tal senso, ma al momento siamo molto lontani dal poter affermare ciò.

La giovane associazione MSA ha chiesto ai legali Palo Zinzi e Antonio Rosario Bongarzone di seguire la vicenda legale. A La Tecnica della Scuola, gli avvocati Zinzi e Bongarzone rispondono ad alcune domande che abbiamo rivolto per approfondire alcuni aspetti della sentenza che mette in discussione l’abilitazione insegnamento.

Quali gli scenari possibili dopo la sentenza del Tribunale di Roma? Si prevedono effetti a cascata?

Un effetto a cascata è un’ipotesi realmente probabile oltreché quella più sperata. La sentenza esecutiva del Tribunale di Roma, rappresenta il momento più alto dell’applicazione della normativa dell’Unione Europea, in Italia, nonché l’effettività dell’attuazione del diritto comunitario e del concetto stesso di Europa. Tuttavia, non si parla solo di Europa, ma anche della normativa interna e dei vari decreti ministeriali che si sono succediti nel tempo e che consentono di stabilire il valore abilitante della laurea unitamente ai 24 Cfu.

Possiamo riassumere in tre punti i motivi che hanno spinto il giudice verso questa pronuncia?

1) La decisione del giudice si basa su un’interpretazione costituzionalmente orientata e riflette principi consolidati nello spazio Schengen. Il quadrilatero europeo, infatti, non si sottrae a qualificare come docenti i laureati che abbiano conoscenze psico-pedagigche, privi di una ulteriore abilitazione. Nell’Unione Europea sono molti gli insegnanti che conseguono lauree già di per sé abilitanti – magistrali o specialistiche e, in alcuni casi, anche triennali – che consentono l’inserimento nelle apposite graduatorie. Invero l’abilitazione all’insegnamento (intesa come Tfa, Pas e SSIS) è un certificato che consente al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca di “programmare gli accessi” e non rappresenta secondo la definizione legislativa, un titolo utile all’esercizio della professione di docente”. Se conseguire l’abilitazione risulta essere tassello dell’iter procedurale amministrativo utile per il solo smistamento di lavoratori, risulta difficile comprendere come il conseguimento di esami – risultato dello studio di tecniche e materie antropologiche, pedagogiche, sociali – oltreché l’accrescimento delle proprie competenze non possa conferire qualifiche abilitanti per l’esercizio della docenza.

2) La direttiva 2005/36/CE ed il relativo decreto attuativo impongono il possesso di una idonea qualifica al fine dell’esercizio della professione docente nel sistema scolastico pubblico italiano; la docenza infatti è considerata “professione regolamentata”. Il possesso di tale requisito è condizione necessaria – ma anche sufficiente – per l’esercizio dell’insegnamento; “i titoli conseguiti in Italia in quanto Stato Membro dell’UE rientrano nella definizione di “titolo di formazione” e quindi di “qualifica professionale” utile all’esercizio della professione regolamentata”. È paradossale ergere un iter procedurale a titolo abilitante mentre si declassa l’acquisizione di competenze in materie inerenti allo studio del mutamento del substrato socio-antropologico.

3) L’interpretazione costituzionalmente orientata che il giudice del lavoro del Tribunale di Roma ha fornito è sostanzialmente imposta dalla normativa europea che non prevede alcun titolo abilitativo per insegnare cosi come sostenuto; compito dell’organo giudicante nazionale è infatti quello di conformarsi alla cornice sovranazionale o rimettere la decisione alla Consulta.

 

Il Ministero può impugnare la sentenza?

Il Miur ha di certo la possibilità di procedere con il gravame contro la sentenza. Tuttavia, l’esecutività della sentenza emessa in primo grado non muterà le sorti del ricorrente fintantoché in sede di appello non verrà emanata una sentenza definitiva. Nondimeno, alla luce della chiara giurisprudenza formatasi sul punto, ritieniamo che l’attenta Corte d’Appello di Roma, qualora il Miur decidesse di proporre appello, confermerà la sentenza di primo grado.

Al prossimo concorso per la scuola secondaria, sarà sufficiente avere la laurea magistrale ed i 24 CFU. Non potrebbe questo rappresentare un fatto rilevante alla decisione finale del Giudice?

Il sedimentarsi di una giurisprudenza innovativa è sempre particolarmente delicato. Ci si imbatte in dottrine discordanti, mutamenti legislativi, mutamenti governativi, e per questo non è mai un risultato facilmente raggiungibile. La decisione di aprire le porte dei futuri concorsi ai laureati con 24 cfu invoglia gli organi giudicanti a valutare questi crediti non solo come abilitanti, ma soprattutto come condizione conferente una qualifica effettiva per la docenza. Essendo diventati solo da pochi anni un requisito necessario (e a breve anche a tutti gli effetti sufficiente), i 24 crediti formativi universitari non sempre si conseguono in corso di laurea; ciò in virtù di un’impossibilità di adeguamento dei curricula accademici. I più attuali percorsi di studio prevedono i 24cfu come materie opzionali che integrano le competenze nei vari settori, altre carriere accademiche invece non li includono e costringono molto spesso a conseguirli una volta conclusa la formazione universitaria.