Home I lettori ci scrivono Ai giovani, prudenti collaudatori di divani

Ai giovani, prudenti collaudatori di divani

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Giovani cari, non credete a chiunque vi abbia detto che oggi è meglio non correre il pericolo di vivere davvero. Non fatevi ingannare.
Per carità, è vero, da che è mondo al mondo gli adulti sembrano insegnare che bisogna soprattutto impararci a stare. Per sopravvivere. Per paura. Belli stretti nelle loro vestine bianche, adatte a tutte le occasioni.
Un mix di conformismo e ostinata rassegnazione per un sistema che sembra premiare soprattutto i signorsì. Gli omologati. Guai, vi dicono, allontanarsi dal gregge. Dalla tanto avida quanto pavida dimensione anticipata del cittadino-consumatore, per benino, rassicurato, ma anche un po’ rimbecillito, dall’indigestione prematura di news e pubblicità.
Ci pensiamo noi, vi propongono.
Con un piatto di lenticchie in mano.
A discapito dell’insana, non sia mai, voglia di farvi domande. Di capire davvero quel che succede. Per crescere e magari cambiarlo in meglio questo mondo.
No, non accettate. Vi prego. Non ci dovete credere.
Non date retta a chi vi dice per esempio che per emergere bisogna andare via, all’estero.
Ve lo dicono solo perché hanno paura di voi. Perché così loro possono continuare a farsi meglio che possono qui i loro comodi. I baroni della politica, dell’economia e dell’università. I principi delle caste. Vogliono giovani che vadano piano.
E possibilmente che non arrivino lontano. O comunque che ci arrivino tardi.
Il più tardi possibile.
Lasciando i sogni ben chiusi nel cassetto con le chiavi in mano alla matrigna di Cenerentola.
Perché, sempre loro, lo sanno che a crederci si avverano. Davvero. Come nei polpettoni americani, al cinema. Con le difficoltà nel mezzo a sublimare l’attesa per l’applauso finale. Liberatorio, trionfale.
E mentre voi ci pensate sopra, continuate a chiedervi se valga davvero la pena, loro possono continuare a scegliere quelli che danno le migliori garanzie di perpetuare un sistema che al merito e al talento antepone cieca l’obbedienza. Fraintesa umiltà, è ciò che vi suggeriscono. Abbiate paura, vi sussurrano.
Che là fuori è grama. È buio e fa un freddo cane.
Amen: sia fatta qualsiasi volontà. Una qualunque, purché non la vostra, insomma.
Ecco, se fossi in voi io non ci starei.
Ne dentro né fuori. E non è solo per un rigurgito di pentimento di mezza età. E neppure perché il paradiso promette una quota di santi inversamente proporzionale alla lunghezza dei lati del recinto da cui insieme guardiamo il cielo da quaggiù.
E’ che non voglio credere che siano finiti il coraggio e l’emozione.
Sono stato anche io giovane.
Dov’è finito il grido solo apparentemente dissennato del buon vecchio Vasco?
Nessuno vuole più vivere pericolosamente?
Solo social e divano?
Non ci credo.
Me lo dovete dire a cosa state pensando, cosa state preparando.
Ci sono anche degli esempi, dei segni precisi, a confermarmelo.
Penso al successo, per certi versi inquietante, di alcuni movimenti populisti.
Quelli di oggi e quelli del passato.
La prospettiva che propongono è sempre la stessa, ribaltare la scena. Restituire al pubblico il palcoscenico. Giù i vecchi e noiosi attori professionisti, senza più entusiasmo. Interessati solo alla poltrona. Che tristezza, che noia. Su chi non ha precedenti ne compromessi con il potere.
Idea tanto vecchia quanto semplice e astuta. Come rivoltare il vecchio cappotto consumato per farne con la fodera una giacca di raso scintillante. Così affascinante da fare passare in secondo piano anche la un (bel) po’ grottesca dimensione settaria di quei movimenti.
Ma ci sono anche tante esperienze migliori, meno rumorose, collettive e individuali, a suggerirmi che non sbaglio a continuare a sperare in voi.
Vecchie battaglie di civiltà fatte nuove da giovani con tenacia e senza timori reverenziali. Come quella di Suor Anna Monia, tenace e tecnicamente ineccepibile, per una scuola più libera propone il costo standard di sostenibilità e il Ministero apre un tavolo di lavoro. Nuove sensibilità che germinano soffici come il pane. E come pane fresco nutriranno chi se ne sazierà.
Meno equidistanze ecumeniche e più equivicinanze sincere.
Tutto qui? Basterà?
Non lo so.
L’unica cosa di cui sono certo è che la vita rimedia. Da sé. E i sintomi se non diventano malattia sono solo passatempi. Distrazioni per gli orchi, per preparare il futuro senza di loro.

di Luigi Corbella