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Alunni italiani in moschea inginocchiati a pregare per la pace con l’Imam, la foto sui social indigna web e Lega: è indottrinamento! Accertamenti Usr

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Il potere mediatico dei social è sempre più forte. È bastata una foto ‘postata’ su Facebook da una scuola dell’infanzia parrocchiale del piccolo comune di Ponte Priula, in provincia di Treviso, per scatenare polemiche a raffica tra il popolo di internet: nell’immagine, scattata il 30 aprile, è ritratto un gruppo di bambini inginocchiati sui tappeti della moschea di Susegana, nel Trevigiano, mentre pregano con l’Imam, rivolti verso la Mecca. La stessa, dove ogni venerdì le famiglie di alcuni loro compagni di classe, assieme ai figli, vanno a pregare.

Quel gesto dei bambini chinati in preghiera doveva rappresentare, almeno nelle intenzioni degli organizzatori della visita formativa al centro islamico, l’apice di un’iniziativa di dialogo interreligioso a favore “della pace”, in un periodo storico contrassegnato da guerre che non sembrano volere terminare.

La scuola si è detta infatti entusiasta della visita alla moschea: sempre su Facebook, gli educatori hanno tenuto a fare sapere che la visita alla moschea “è stata un’esperienza davvero emozionante. Ci siamo tolti le scarpe, le maestre hanno indossato un velo e siamo entrati in una grande stanza dove per terra c’era un enorme tappeto rosso con alcune strisce bianche dove ci si mette per pregare. L’imam ci ha spiegato che la religione musulmana si fonda su 5 pilastri e ci ha detto che loro pregano 5 volte al giorno (ci abbiamo anche provato)“.

Non si sarebbe trattato della prima visita alla moschea: “Già in occasione della festa per la fine del Ramadan – ha scritto ancora la scuola – , Shevala, mamma di Bilal, ha letto un libro che spiega ai bambini cos’è e cosa si fa durante il Ramadan. Grazie di cuore all’Imam che ci ha aperto le porte della moschea e ci ha accolto con rispetto, amicizia ed entusiasmo”.

Le parole delle educatrici, però, non hanno convinto il popolo dei social. “Siete vergognosi! Fossi il padre di uno di quei bambini, prima lo ritirerei da quell’istituto, poi prenderei dei provvedimenti nei vostri vergognosi confronti! Vergogna!”, ha scritto Enrico.

I bambini vanno a scuola per studiare non per essere indottrinati con ideologie fuori dalla storia”, ha commentato Alberto.

Clotilde ha chiesto equità formativa: “Il progetto è rivolto ad una sola religione o include anche le altre fedi presenti nel territorio, prevedendo per ciascuna momenti di preghiera’ per la pace? Se si ritiene che ‘la dimensione spirituale e quindi religiosa sia parte integrante del progetto educativo di scuole dell’infanzia di ispirazione cristiana’, io mi aspetterei una educazione completa per tutte le fedi del territorio“.

Domenica 4 maggio, le polemiche hanno toccato anche la politica. Alberto Villanova, capogruppo della lista Zaia e della Lega in Regione Veneto, ha parlato di “immagini agghiaccianti” e “che fanno gelare il sangue nelle vene”.

L’europarlamentare leghista Anna Maria Cisint ha fatto notate che “qui non si parla di educazione, ma di fondamentalismo bello e buono, con un Imam che non ha perso l’occasione di ‘catechizzare’ i giovani alunni”.

Secondo l’assessore alla Cultura del Comune di Ponte della Priula, Francesca Caruso, di Fratelli d’Italia, è bene che si faccia “piena luce sull’accaduto: affrontare il tema religioso e il dialogo tra le religioni è cosa ben diversa dal partecipare al rito della preghiera“.

Anche il Pd trevigiano ha speso parole critiche: pur apprezzando “il dialogo interreligioso”, il segretario dem Giovanni Zorzi ha detto che avrebbe “scelto forme più laiche per rivolgere alla fine il doveroso messaggio di pace, proprio nel rispetto delle sensibilità di tutti i bambini e le persone presenti”.

Anche secondo Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, l’esperienza formativa non doveva svolgersi in quel modo: “Noi – ha detto all’Adnkronos -, portiamo i bambini di tutte le scuole pubbliche a visitare il museo e la Sinagoga per capire cos’é la presenza di duemila anni della comunità ebraica di Roma a Roma. Ma certo non li facciamo partecipare alla preghiera. Ogni visita in un luogo di culto deve avere il sapore della convivenza, in termini di condivisione, certo non in termini di conversione e indottrinamento”.

Non si sarebbe svolto nulla di anomalo, invece, per Yassine Lafram, presidente Ucoii, Unione delle comunità islamiche in Italia: “Trovo profondamente preoccupante – ha dichiarato sempre all’Adnkronos – che una visita didattica in moschea, organizzata con sensibilità e intelligenza pedagogica da una scuola dell’infanzia, venga trasformata in oggetto di polemica politica. Quei bambini non sono stati ‘costretti’ a nulla. Sono stati, invece, accompagnati a conoscere da vicino una parte importante della vita dei loro compagni. È questo il compito della scuola: educare all’ascolto, al rispetto, alla convivenza”.

“Esprimo la mia gratitudine alla direzione scolastica, alle insegnanti e all’imam Avnija Nurceski per aver costruito un’occasione preziosa di dialogo concreto. Un gesto semplice, ma ricco di significato, che – ha continuato – parla ai bambini e ci ricorda che non esiste vera integrazione senza il riconoscimento e il rispetto reciproco delle appartenenze religiose. Non è l’incontro tra bambini di fedi diverse a doverci inquietare, ma l’idea che la paura possa ancora avere la meglio sull’educazione. Se c’è qualcosa che dovrebbe allarmarci, è l’incapacità di riconoscere nella diversità un’occasione di crescita. L’Italia che ci sta a cuore è quella che non teme il pluralismo, ma lo vive come una ricchezza”, ha concluso Yassine Lafram.

Meravigliata per le polemiche è stata anche Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera: “Polemiche grette. Scambiare una gita culturale in moschea intrapresa nella piena autonomia da un istituto scolastico paritario per ‘indottrinamento’ è segno di una povertà di pensiero molto grave. Non c’è nulla in questo episodio che possa essere contestato”.

Intanto, però, l’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto ha avviato “gli opportuni accertamenti” per verificare in particolare “se siano state rispettate le norme sulla parità scolastica”.

Lo stesso Usr, ricorda l’Ansa, ha quindi ricordato che la scuola che ha organizzato la visita alla moschea non è statale, ed iscritta alla Federazione Italiana Scuole Materne, specificando anche che “come per tutte le scuole statali e paritarie” valgano le regole dell’autonomia, quindi vi è sempre la necessità di dotarsi “di un proprio progetto educativo, specifico, autonomo e condiviso con le famiglie”. La visita in moschea avrebbe, ad esempio, dovuto avere il consenso dei genitori (aspetto che comunque sembra sia stato assolto).