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Che fare?

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“Che fare?” È il classico quesito che mette in difficoltà e in imbarazzo un po’ tutti. Soprattutto chi è una persona davvero seria, onesta e coraggiosa intellettualmente.

Potrei cavarmela rispondendo in modo evasivo oppure generico, senza affrontare il nodo della questione posta dal fatidico interrogativo “che fare?”, che è un nervo scoperto.

Rispondo seccamente, ma soprattutto sinceramente: non lo so con certezza! Forse, se servisse scendere in piazza per manifestare e lottare, converrebbe continuare a farlo.

So solo che il famigerato ed infame piano Reggi è stato ritirato, ancorché solo temporaneamente, quando i burattinai hanno verificato la nostra energica reazione “estiva”, manifestatasi con proteste veementi ed accese, esternate con gli strumenti di comunicazione a nostra disposizione, anche e soprattutto Internet e i vari social-network, con assemblee auto-convocate scavalcando le sigle sindacali (non a caso, i vertici sindacali si sono spaventati), scendendo in piazza e sfidando le forze dell’ordine schierate in assetto antisommossa.

Dunque, la nostra lotta e la nostra protesta sono state immediate ed efficaci. Sono servite a fermare i loro infami e disgustosi propositi. Almeno per il momento. Per cui ritengo che ci convenga restare sempre vigili e pronti a reagire, magari uniti e compatti. Se possibile.

Questo è il principale elemento di vulnerabilità della categoria docente: la mancanza di coesione interna e di solidarietà corporativa. Nelle “alte sfere” del potere lo sanno. Sanno che possono dividerci e scatenare facilmente guerre tra poveri, contese miserabili, litigi come quelli tra i capponi di Renzo Tramaglino nei Promessi Sposi.

Basta ventilare (o sventolare) una promessa di 80 miserabili euro. Come, d’altronde, è accaduto di recente. Ed abbiamo visto l’esito, il “cappotto elettorale” che una simile operazione ha sortito a netto vantaggio di un rapido ricompattamento politico (in pieno stile neodemocristiano) del blocco di potere attorno alla figura di Renzi.

Vi esorto a cogliere l’ironica analogia e l’assonanza tra il succitato Renzo e Renzi (a quanto pare, le allegorie e le metafore manzoniane sono ancora molto attuali).