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CLIL sì, ma non così

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Con l’acronimo CLIL (Content and Language Integrated Learning) si intende l’apprendimento integrato di contenuti disciplinari in una lingua straniera veicolare.

Significa in buona sostanza che gli studenti della secondaria di secondo grado sono chiamati ad apprendere una disciplina non linguistica (la fisica piuttosto che il diritto o la storia) in lingua straniera, che in linea di massima è l’inglese ma che può essere una qualsiasi lingua presente nel piano di studi.

Come ricorda l’INDIRE nella sezione dedicata a questo progetto, “il profilo del docente CLIL è caratterizzato dal possesso di competenze linguistico – comunicative nella lingua straniera veicolare di livello C1 e da competenze metodologico – didattiche acquisite al termine di un corso di perfezionamento universitario del valore di 60 CFU per i docenti in formazione iniziale e di 20 CFU per i docenti in servizio”.

 

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Il CLIL è in forte espansione in tutti i Paesi europei, tanto da non potere essere ignorato dalla Legge 107 del 13 luglio 2105 – la Buona Scuola di Renzi – che al comma 7 del suo unico articolo, tra i diciassette obiettivi formativi indicati come prioritari, annovera, primo tra tutti, “la valorizzazione e potenziamento delle competenze  linguistiche,con particolare riferimento all’italiano nonché alla lingua  inglese e ad altre lingue  dell’Unione  europea,  anche  mediante  l’utilizzo della metodologia Content language integrated learning”.

In realtà, l’insegnamento di una o più discipline non linguistiche con metodologia CLIL è – o, meglio, dovrebbe essere – obbligatoria sin dal 2010, cioè dall’avvio della Riforma Gelmini, il cui compimento passa attraverso i DPR 87, 88 e 89 che ridisegnano la struttura dei nostri Istituti Professionali, Tecnici e Licei.

Quattro anni dopo, la Nota MIUR del 25 luglio 2014 ha come oggetto, “Avvio in ordinamento dell’insegnamento di discipline non linguistiche (DNL) in lingua straniera secondo la metodologia CLIL nel terzo, quarto, quinto anno dei Licei Linguistici e nel quinto anno dei Licei e degli Istituti tecnici – Norme transitorie a.s. 2014/15”.

Tuttavia, in base alle ultime rilevazioni della Fondazione Intercultura, soltanto un quarto dei licei italiani ha ottemperato alla norma. E come potrebbe essere diversamente – aggiungiamo noi – in un Paese in cui il 62% dei docenti supera i 50 anni di età (i più vecchi d’Europa e tra gli ultimi del pianeta, secondo l’OCSE)? In un Paese in cui sono ancora troppo pochi i docenti che conoscono le lingue?

Qualche mese fa questo giornale ha pubblicato i risultati di uno studio condotto da Intercultura, secondo il quale il 57% dei nostri professori dichiara di possedere un livello di conoscenza della lingua inglese basso o anche molto basso. Se ricordiamo, però, normativa vuole che il docente Clil possieda un livello di competenza in lingua straniera assimilabile al C1. Ora, prendiamoci un minuto per leggere la descrizione del livello C1 secondo il Quadro Comune Europeo di riferimento. Chi possiede tale livello (avanzatissimo, figuratevi che poi c’è solo il C2 che in pratica equivale al parlante nativo) “è in grado di capire un’ampia gamma di testi, anche lunghi, fino a saper individuare il significato implicito. Si esprime fluentemente e spontaneamente senza un eccessivo sforzo di ricerca delle parole. Usa la lingua in modo flessibile e adeguato agli scopi sociali, accademici e professionali. Sa produrre testi chiari, ben strutturati, articolati su argomenti complessi, sapendo controllare le strutture discorsive e i meccanismi di coesione”.

Tirando le somme: può un corso universitario di 20 CFU trasformare un docente in servizio – ultracinquantenne, spesso demotivato e arrabbiato con tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi venticinque anni – in un parlante inglese, francese, spagnolo, tedesco? E allora, per concludere: l’insegnamento di una o più discipline in una o più lingue straniere è sicuramente un’importante tappa verso l’internazionalizzazione delle nostre scuole, ancora troppo provinciali. Ma si deve realizzare con giudizio, non buttarla lì così e accontentarsi che il malcapitato docente di scienze biascichi quattro parole in inglese e il CLIL è fatto e documentato.

La formazione iniziale del personale docente deve, imperativamente, prevedere una certificazione C1 in una lingua europea (meglio se due), pena l’impossibilità di accedere a un concorso a cattedre. Le cose vanno preparate, e preparate bene. Non si può giocare a fare il CLIL nel deserto delle competenze linguistiche dei docenti italiani.

 

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