Home I lettori ci scrivono Convegno sulle foibe a Soverato, alcuni appunti sulla nota di Frassinetti

Convegno sulle foibe a Soverato, alcuni appunti sulla nota di Frassinetti

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Spettabile redazione,

chi scrive è un docente di storia e filosofia dell’IIS “Guarasci-Calabretta” di Soverato, istituto recentemente finito al centro di una polemica scatenata dall’ On. Paola Frassinetti, Sottosegretario all’Istruzione nell’attuale Governo. Tale polemica, lo ricordo a beneficio di quanti non ne fossero al corrente, riguarda lo svolgimento, a beneficio degli studenti, di un incontro sul tema delle “foibe”, organizzato dall’ANPI e arricchito dalla presenza dello storico Eric Gobetti, definito dal Sottosegretario “negazionista”.

Premetto che non ho avuto alcun ruolo nell’organizzazione dell’evento e, dunque, scrivo a titolo esclusivamente personale. Mi preme, come docente e come laureato in Storia, sottolineare alcuni elementi che emergono dalla nota del Sottosegretario:

  1. Nella sua nota il Sottosegretario bolla come “negazionista” un convegno che deve ancora svolgersi (è previsto, infatti, nella mattinata del 21 febbraio). Delle due l’una: o ha la palla di vetro in ufficio, oppure basta la presenza di Eric Gobetti a “marchiare” un’intera conferenza, come se non fosse possibile, e anzi auspicabile, nell’ambito dell’iniziativa stessa, un confronto tra diverse posizioni. Per giunta nel libro di cui si dovrà discutere nel “convegno negazionista”, pubblicato, tra l’altro, da uno dei maggiori editori italiani, non c’è alcuna traccia di tesi negazioniste. Ho letto con attenzione quel testo, e non c’è una sola riga in cui si neghino le stragi di cui furono vittime gli italiani, oppure l’esodo;
  2. Il Sottosegretario richiama, altresì, le “parole di condanna contro il negazionismo e il giustificazionismo” del Presidente Mattarella. Posto che atteggiamenti di questo tipo sono condannabili e bene fa il Presidente della Repubblica ad ammonire gli italiani a riguardo, a me pare che i termini “negazionismo”, “giustificazionismo” e “riduzionismo” siano utilizzati, quando associati alle vicende del confine orientale, piuttosto come dei manganelli, atti a colpire qualsiasi forma di dissenso rispetto alla “vulgata corrente”. In che cosa consisterebbe il “negazionismo” fatico a capirlo. Se si parla dei morti, Gobetti non li nega, né potrebbe farlo. Se si parla invece della “pulizia etnica”, degli “italiani uccisi in quanto italiani”, allora stiamo parlando di una balla talmente colossale che bollare come negazionista chi la contesta equivarrebbe a bollare come negazionista chi nega sia mai esistito lo “ius primae noctis”. Per inciso, il fatto che ad affermare tesi di questo tipo sia stato, tra gli altri, il Presidente Napolitano (nel suo intervento del 10 febbraio 2007), non le rende affatto vere: con buona pace del Sottosegretario Frassinetti, i Presidenti della Repubblica non diventano autorevoli storici soltanto perché sono Presidenti della Repubblica.

Anche l’uso estremamente leggero del termine “riduzionismo” inquieta. Se l’On. Gasparri, nel 2004, afferma a Radio2 che “milioni di italiani furono gettati vivi (nelle foibe) solo per essere italiani”, e Gobetti dice che invece furono qualche migliaio, non tutti gettati nelle foibe, e che il fatto che fossero italiani non era il motivo principale, è riduzionista?

Il “giustificazionismo”, delle tre, è la categoria più insidiosa, nella quale, se non sta attento, rischia di ricadere anche un bravo storico. A mio parere Gobetti, nel libro in questione, sta attento eccome. Riguardo la vicenda di Norma Cossetto, ad esempio, nel suo libro scrive: ‹‹Norma Cossetto viene infatti arrestata dai partigiani comunisti non perché italiana, ma perché è una nota fascista, figlia di un podestà, ufficiale della milizia, e impegnata personalmente nel partito e nei Gruppi universitari fascisti (GUF). Ciò non giustifica ovviamente gli aggressori, ma spiega le motivazioni del fermo da parte della Resistenza comunista››. Già il fatto che l’autore ritenga necessario inserire una precisazione del genere è indicativo del clima che si respira. Del resto interpretando estensivamente la categoria del “giustificazionismo”, come fanno certi nostri politici in cerca di storici da proscrivere, si potrebbe tacciare di giustificazionismo chiunque provi a spiegare un fenomeno storico attraverso il suo contesto. Io in genere, quando spiego ai miei alunni l’ascesa al potere di Hitler, dico che, nel crearne le condizioni, fu fondamentale la crisi del ’29, la quale, gettando nuovamente nella disperazione il popolo tedesco, lo rese più “sensibile” a dare credito a certe follie. Sono un giustificazionista del Nazismo?

  • Il Sottosegretario prosegue, nella sua nota, affermando che “questo convegno non tiene conto delle indicazioni del Ministero dell’Istruzione e del Merito e tantomeno della volontà della Camera dei Deputati che, da pochi giorni, in Commissione Cultura, ha approvato una mozione affinché a parlare di questi fatti nelle scuole debbano andare solo gli appartenenti alle associazioni di Esuli”. In queste poche righe traspare un deficit di cultura democratica a dir poco drammatico. Intanto è agghiacciante scoprire che non esiste più la libertà di insegnamento, garantita dall’articolo 33 della Costituzione, ma che il modo in cui si parla delle “complesse vicende del confine orientale” è soggetto alle indicazioni del Ministero dell’Istruzione e del Merito (o del Minculpop?). È altrettanto inquietante scoprire che l’autonomia scolastica è sottoposta alla “volontà della Camera dei Deputati”, concetto vagamente (o volgarmente?) rousseauiano. Secondo la Camera dei Deputati, apprendiamo dall’On. Frassinetti, a parlare di “foibe” nelle scuole dovranno andare solo membri delle associazioni di esuli. Intanto non si capisce bene perché gli studenti dovrebbero beneficiare maggiormente del racconto, poniamo caso, del nipote di una persona emigrata dalla Jugoslavia nel ’55, che le foibe non le ha neppure mai viste, piuttosto che del contributo di un vero storico. Ma, cosa ancora più grave, non si capisce con quale diritto la Commissione Cultura si permetta di vietare a qualcuno di parlare nelle scuole, se chi ci lavora ogni giorno ritiene, in base alle proprie competenze, che quella persona possa dare un contributo formativo importante ai propri studenti. Mi pare di ricordare che certe cose nelle democrazie non accadessero. Non vorrei ricordare male.

Giuseppe Iozzo