
Iniziava esattamente 5 anni fa in tutta Italia la lunga stagione del lockdown; in un primo momento molti pensavano che alle drastiche misure imposte dall’emergenza avremmo potuto reggere solo poche settimane, al massimo qualche mese.
Soprattutto nelle scuole si pensava che presto si sarebbe tornati alla “normalità”; a settembre abbiamo pensato: “Anno nuovo, vita nuova” e invece le cose sono andate come sappiamo.
E, imprevedibilmente, abbiamo resistito per mesi e mesi, anzi per un paio di anni almeno.
Ma si può fare un bilancio di cosa è accaduto nel mondo della scuola dopo quel fatidico 5 marzo del 2020?
Certamente – e questo è stato rilevato e sottolineato da più di un esperto – per i giovani e per gli studenti l’emergenza Covid ha determinato una perdita di rapporti sociali e quindi di esperienza decisive per la crescita; addirittura si sono riscontrati (e non solo in Italia) cali significativi degli apprendimenti e, forse, questo è servito a far comprendere a tutti noi che la socialità non è un elemento collaterale nei processi di acquisizione di conoscenze e competenze ma è condizione indispensabile e ineludibile.
Un aspetto interessante da non sottovalutare riguarda il fatto che il lockdown ha imposto nuove regole organizzative: in men che non si dica gli incontri “in presenza” sono stati sostituiti dall’oggi al domani con le “video-chiamate” e con i webinar a distanza: inizialmente le nuove modalità sono apparse a tutti come situazioni un po’ eccezionali e non sempre funzionali al lavoro scolastico.
Ma ormai le “call” sono diventate talmente comode e funzionali che addirittura ad oggi sono le riunioni in presenza ad essere considerate una inutile “seccatura”: e forse su questo sarebbe bene interrogarsi perché c’è il rischio di trasformare progressivamente le riunioni in incontri di voci e di facce ma non di persone in carne ed ossa (e sulla differenza fra call e riunioni dal vivo il recente caso dell’incontro Trump-Zelenski ci sta insegnando parecchio).
In definitiva, il lockdown ci ha resi migliori o peggiori?
Difficile rispondere alla domanda perché in questi 5 anni il mondo è cambiato molto anche per motivi che poco o nulla hanno a che fare con l’emergenza sanitaria e quindi non siamo in grado di dire con precisione quali cambiamenti siano intervenuti a causa del Covid e quali siano legati ai sempre più complessi equilibri politici a livello mondiale.
Per esempio non sappiamo (non ci sono ancora studi su questi aspetti decisivi per il futuro del pianeta) quali conseguenze potrà avere sulle nuove generazioni la presenza sempre più diffusa di immagini e informazioni provenienti da “fronti di guerra” non remoti ma molto vicini a noi.
Un dato è certo: la pandemia ha cambiato le persone e ha cambiato la scuola, e non si potrà più tornare a “come eravamo prima”.
Forse, però, il cataclisma che ha sconvolto il mondo occidentale dagli inizi del 202 potrebbe avere, a lungo termine, un effetto in qualche modo benefico: la pandemia ha fatto venir meno una volta per tutte l’idea che l’umanità sia destinata ad evolvere verso “magnifiche sorti e progressive”. Così, invece, non è ed è bene che anche a scuola si sia tutti consapevoli del fatto che non sempre c’è del razionale nei processi storici. Siamo esposti a ogni genere di cambiamento, naturale e non.
E non siamo affatto invincibili: forse, avendo sperimentato sulla nostra “pelle” le conseguenze della pandemia, ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze dovremmo insegnare proprio questo, ancora prima delle 4 operazioni, della storia dell’unità d’Italia e della differenza fra passato prossimo e passato remoto: come ci ha insegnato quasi 4 secoli fa Blaise Pascal siamo canne esposte ad ogni genere di intemperia e, per salvarci, dobbiamo fare affidamento al fatto di essere pur sempre “canne pensanti”.