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Crepet: “Educazione affettiva? Due ore non scardinano una cultura. Una volta la scuola era fatica, ora i bimbi ci vanno col trolley”

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Si parla moltissimo di femminicidi, dopo che questo tragico fenomeno ha colpito due ragazze di 22 anni a distanza di pochi giorni, Sara Campanella e Ilaria Sula. A riflettere sulle sue cause e su quanto accaduto è stato lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet.

“Attenzione ai microfoni”

Ecco cosa ha detto ai microfoni de Il Corriere della Sera: “Come nel caso tragico di Giulia Cecchettin, anche qui abbiamo due ragazze che inseguivano un sogno: la laurea, un lavoro soddisfacente, l’esperienza dello studio fuori sede. Io lo chiamo coraggio, ma dobbiamo chiederci: quanto la nostra società invita al coraggio e quanto, invece, predilige la mediocrità? Un giovane uomo che non ha un sogno forte, che galleggia nella sua inconcludenza, che non ha spesso lo stesso coraggio delle donne non è invisibile”.

“Attenzione anche ai mediocri, perché chi non coltiva un orizzonte spesso nasconde il vuoto e il vuoto è spaventoso. Il problema è che oggi nutriamo questo vuoto, lo celebriamo, addirittura, in certi casi. Quasi venticinque anni fa l’Italia venne sconvolta dalla vicenda di Novi Ligure: anche in quel caso i protagonisti sembravano ragazzi normali. Lo scrissi allora e lo ripeto oggi: non siamo capaci di ascoltarli”, ha aggiunto.

“Educazione affettiva? Un’illusione”

Crepet ha parlato di educazione sessuale o affettiva a scuola: “Un’illusione. Non vedo come il fare una o due ore alla settimana di educazione affettiva possa scardinare una cultura, ahimè, millenaria e sbagliata e pericolosa, che è quella maschilista. Lo dico da padre di una giovane donna: se non riusciamo a chiedere ai nostri figli nemmeno “Come stai?” di che cosa stiamo parlando?”.

Ecco alcune parole sull’educazione e sull’importanza di ascoltare i giovani: “Questa storia che parliamo linguaggi diversi è ridicola. Io parlavo dei Beatles, mia madre di Mina e mio padre di Mozart. È sempre stato così, solo che una volta i bambini delle elementari non andavano a scuola con il trolley. Una volta ti insegnavano che la scuola è fatica, che il lavoro è fatica, che l’amore stesso è una fatica. Se non insegniamo ai più giovani che ogni cosa ha un peso, un prezzo, che comporta una parte di sudore, come possiamo pretendere che loro stessi diano valore alle cose e alle persone? Chiediamoci tutti quanto è durata l’ultima cena che abbiamo fatto insieme a nostro figlio o a nostra figlia. Tredici minuti? E magari con lo smartphone acceso? Fare domande profonde richiede coraggio, anche quello di sentirsi rispondere con riluttanza, ma fa parte del gioco: saperli ascoltare vuol dire mettersi in gioco ogni giorno. Creare spazio affinché si stabilisca una connessione. Il non ascolto crea morte di per sé”.

“Questi omicidi non toccano soltanto le famiglie delle vittime, ma tutte e tutti noi. È un problema culturale, che ci accomuna e che ci deve unire in una risposta collettiva. Altro che riferimenti all’etnia”, ha concluso.

Non è la prima volta che Crepet parla di educazione affettiva a scuola: “Bene l’educazione affettiva a scuola: ma chi lo fa? Chi va dai ragazzi avendo cognizione di causa? Tutti siamo molto indietro, credo sia imbarazzante per un liceo scegliere con certezza il docente di questa materia. Abbiamo avuto trent’anni per farlo”, queste le sue parole di due estati fa, all’indomani dello stupro di Palermo.