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Uno sfogo di una docente è diventato virale sui social: ha ancora senso interrogare? I docenti dovrebbero trovare altri nuovi modi per valutare gli alunni? Ecco cosa c’è scritto nel post.
“Ma davvero oggi, nel 2025, siamo qui a fare ‘interrogazioni’ come se fossimo nel 1890? Due o tre studenti parlano, il resto della classe si annoia o si distrae. Se ciascuno parla per 10 minuti (e già è poco), per interrogare 20 studenti una sola volta servono… 200 minuti. Quasi 4 ore di lezione per ogni argomento svolto o modulo. E poi? Ripartiamo da capo con la tornata successiva. Nel frattempo, nel mondo reale, all’Esame di Stato ogni studente ha pochissimi minuti per ogni disciplina. Qual è allora il senso di passare ore e ore a interrogare a tappeto? E soprattutto: chi ha mai insegnato loro come si comunica bene un contenuto?”.
Chi insegna “educazione all’esposizione orale?”
“Pretendiamo che siano oratori, divulgatori, esperti retorici… ma nel programma, dove sta la voce ‘educazione all’esposizione orale’? Con quali strumenti li alleniamo a parlare davanti a un gruppo, a gestire l’emozione, a strutturare un discorso efficace, a orientare una narrazione? In una materia con 66 ore annuali (tolti scioperi, assemblee, uscite didattiche, verifiche, malattie…), se ne spendiamo la metà per ‘interrogare’, quante ne restano per insegnare davvero? Quante ne restano per riflettere insieme, discutere, confrontarsi sul lavoro che si fa, sulle attività che mettiamo in campo per attivare processi cognitivi? La verità è che l’interrogazione tradizionale è uno strumento inefficace, escludente e spesso vissuto come un momento di giudizio definitivo legato principalmente ad un’unica skill: la memorizzazione”.
I metodi alternativi
“L’interrogazione: una pratica che evoca atmosfere poliziesche, dove il docente diventa giudice, e lo studente si sente sottoposto a un piccolo processo sommario. Nessuna sorpresa se i ragazzi manifestano sempre più spesso ansia, blocchi, senso di inadeguatezza, paura. L’errore, che dovrebbe essere una risorsa per imparare, diventa invece una condanna a voti bassi e autostima sotto le scarpe. E allora, visto che valutare è parte essenziale del nostro lavoro, perché non utilizzare modalità diversificate? Esistono tanti altri strumenti di valutazione, molto più inclusivi, efficaci e formativi:
• rubriche di osservazione durante il lavoro di gruppo
• auto e peer-assessment (autovalutazione e valutazione tra pari)
• compiti autentici (simulazioni, progetti, presentazioni)
• diari di apprendimento e riflessione metacognitiva
• test strutturati e semi-strutturati
• brevi colloqui individuali guidati
• portfolio digitali e cartacei
• valutazione delle revisioni fatte dopo un errore
• osservazione sistematica del processo, non solo del prodotto.
Valutare non è dividere i capri dalle pecore di evangelica memoria. Valutare dovrebbe essere un modo per accompagnare l’apprendimento, non per bloccarlo. Un’opportunità per aiutare ogni studente a diventare più consapevole, più autonomo, più sicuro. Forse è tempo di chiederci: stiamo davvero valutando per far crescere, o per assolvere ad un adempimento burocratico?”.