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Didattica a distanza, pregi e difetti: non è tutto oro quello che luccica

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“Coronavirus” questo il termine dato dagli scienziati a quel minuscolo essere che da oltre un mese ha fermato le lancette delle scuole italiane e con esse il normale corso della didattica. Un essere invisibile che ha cambiato, in maniera molto visibile, oltre alla normale vita quotidiana tutta la comunità scolastica che ha dovuto reinventare un nuovo modo di fare scuola. Ciò non solo attraverso la sperimentazione della DAD ma anche nel saper fronteggiare e gestire le proprie emozioni al tempo della pandemia.

La drammaticità del momento dove una famiglia su due si ritrova a dover fronteggiare la più grande sfida degli ultimi decenni, la Scuola Italiana ha l’obbligo di perpetrare e garantire, di concerto con i nuclei familiari, il diritto allo studio, sancito dalla nostra Costituzione.  Nelle ultime settimane, il Ministero dell’Istruzione ha indirizzato alla comunità scolastica una serie di istruzioni operative riguardanti la DAD e lo Smart Working, due termini che sono abbastanza comparabili. Per distinguerli, si considera la didattica a distanza in riferimento al lavoro in modalità sincrona (lezioni web-video in diretta online) e a-sincrona (registrazioni a fini educativi, verifiche scritte da assegnare) dei Docenti, con gli studenti ognuno nella propria abitazione. Mentre il lavoro agile si attribuisce perlopiù alla possibilità di lavorare da casa, piuttosto che in ufficio, per il personale ausiliario tecnico e amministrativo (ATA) e i dirigenti scolastici.

Naturalmente non è tutto oro quel che luccica! Numerose sono le difficoltà che impone l’insegnamento a distanza: famiglie che non dispongono di uno smartphone adeguato, tablet, pc, o di un’adeguata connessione internet. Il pericolo è quello di generare creare un nuovo genere di dispersione scolastica: quella virtuale. Con la didattica a distanza cambiano radicalmente le modalità di mediazione, che avvengono quasi esclusivamente attraverso le nuove tecnologie – sempre più sofisticate per soluzioni tecniche, piattaforme, spazi di condivisione e app messe a disposizione – a discapito della somministrazione attiva tra pari e con l’adulto e dell’interazione empatica docente alunno. In questi lunghi giorni costretta a casa ho maturato il convincimento che in una situazione di emergenza permanente come questa l’elemento strategico più importante consiste nel mettere “nero su bianco” le emozioni che alunni e genitori provano in questa “new way” di vivere e di interagire.

La priorità è far capire loro che si debba continuare ad esprimere i sentimenti propri del vivere quotidiano quali rabbia, angoscia, paura o felicità, pur amplificati dalla situazione di costrizione, in modo del tutto naturale. Le maggiori ore trascorsi insieme e il non frequentare la scuola non deve rappresentare un disagio, un’esasperazione o una sopportazione ma, al contrario, un nuovo modo e più umano di non soffocare le emozioni ma viverle con gioia. In ogni situazione il difficile è sempre cominciare e ho iniziato a progettare e creare favole animate, pensieri. Ho chiesto alle mie classi di scrivere le loro emozioni attraverso una frase, una filastrocca, un gioco. Da subito ho percepito, dentro di me, di aver costruito un legame più intimo capace di abbattere la barriera della lontananza ed essere stretti in un abbracciato, simulando un gesto oggi vietato. Ho creduto che l’arma sociale più forte per distruggere quel piccolo essere invisibile fosse la continua esternazione positiva di emozioni e stati d’animo.

In questo tempo lungo di riflessione, lontana dalle classi, mi sono chiesta: “Ma come stanno vivendo i bambini tutto chiesto?”, “Quali emozioni provano ascoltando le brutte notizie?”, “Come metabolizzano l’ansia dei loro genitori?”, “Cosa provano i genitori?” Interrogativi che mi hanno coinvolto totalmente sia come insegnante che come educatrice, in quanto sia sui social che nelle conversazioni telefoniche rimbalza continua la stessa domanda: come modulare la didattica a distanza? Chiaramente tutto questo non può restituirci il luogo privilegiato dell’aula, è cambiato il setting della relazione. La classe è un organismo vivente dove i bambini condividono ciò che sentono in modo interconnesso. La classe è un luogo di integrazione, inclusione, socializzazione e relazione di aiuto. Durante i giorni della quarantena ho riflettuto molto sul mio ruolo di docente e sul mio lavoro. Ho capito interiormente quanto mi manca e quanto sia profondo respirare l‘infanzia che rappresenta in assoluto la fase più genuina del ciclo della vita, capace di produrre un’energia vitale senza pari. Penso ai loro sguardi, ognuno brillava in modo diverso, al suono della campanella momento nel quale si intrecciavano abbracci, sorrisi, parole, pensieri e vita all’interno dell’aula momenti di espressioni sincere e grandi emozioni. Penso a tutte le volte tornata a casa stanca e magari senza voce ma con il cuore pieno; Il cuore e la mente permettono di entrare empaticamente con ognuno di loro. Lavorare con la diversità e dare la giusta importanza.  Mi mancano i loro sorrisi, chiedere “come stai”?  “che bel vestito hai oggi”, un rimprovero a fin di bene e percepire il loro dissenso attraverso sguardi che dicono: “Uffa Maestra”.

Non riuscire a ritrovare i loro sguardi mi fa sentire inutile. Preparo lezioni cercando di coinvolgerli e motivarli ma non basta, schemi, mappe, video cartoon, una videochiamata, ma non è sufficiente. manca il contatto, il respiro: manca la vita vera. Basta poco per riprendersi da questo momento negativo perché la forza di reazione mi porta a dare molto più di prima per colmare la carenza che questa costrizione provoca. Insieme alla trasmissione di materiale didattico è indispensabile tenere rapporti con i genitori, che ci stanno sostituendo egregiamente dedicandosi ai loro figli in maniera attiva e trasmettendo le giuste emozioni per rafforzare il nucleo cardine dello stare assieme. Tutti stiamo reinventandoci un nuovo mondo, un nuovo modo di esistere fatto di stanze, balconi, verande e finestre e di continui silenzi. Chiaramente tutto questo non può restituirci il luogo privilegiato dell’aula, è cambiato il setting della relazione e della condivisione. Voglio ritornare nelle mie classi e vedere tutti quegli occhietti che brillano, ascoltare le loro voci, rumori, grida, vedere i loro volti sorridenti o arrabbiati, i loro successi e insuccessi: questa è la scuola!

Manteniamo viva la relazione, curiamo sensazioni ed emozioni dei nostri alunni, dei loro genitori e anche le nostre, perché anche noi siamo in trincea! “La scuola non è fatta solo di libri e interrogazioni, ma anche di compagni con cui parlare e professori da ascoltare, la scuola è vita e non telematica e se tale situazione dovesse protrarsi ancora a lungo gli alunni ne sentiranno terribilmente la mancanza”. “Magari i primi giorni non se ne accorgeranno ma poi sì” prosegue il prof “la scuola non ha solo un’accezione affettiva e nozionistica, il fondamento della scuola è diventare cittadini e quando si diventa cittadini si è animali sociali e non si può pensare che si faccia una vita senza scuola. Questa pandemia ci sta, insegnando i valori di un fondamento della nostra società che è, appunto, il valore della scuola”. Così si esprimeva recentemente Roberto Vecchioni, celebre cantautore italiano ed ex professore, la scuola non può fermarsi, gli alunni sono come raggi di sole che crescono attraverso le relazioni umane in ambienti favorevoli alla loro crescita. Sarebbe bello se un giorno, quando tutto questo sarà finito, sapessimo apprezzare e far tesoro delle nuove emozioni che ci hanno attraversato l’animo e la mente. Durante questo momento sospeso nel tempo l’aver ritrovato valori quasi perduti ci aiuteranno a dare un senso migliore alla vita e al trascorrere del tempo. L’emozione sarà cucita nella pelle, l’anima ci renderà più umani e la mente ci ricorderà momenti terribili che ci hanno insegnato a vivere.

Rosanna Gangi