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Didattica online e coronavirus: nel caos abbiamo una chance

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Leggo da Insegnare a vivere – Manifesto per cambiare l’educazione – Edgar Morin 2014

“…Vivere è un’avventura che comporta in se stessa incertezze sempre rinnovate, con eventualmente crisi e catastrofi personali e/o collettive…Noi non sappiamo dove o quando saremo felici o infelici, non sappiamo quali malattie subiremo, non conosciamo in anticipo le nostre fortune e sfortune. Siamo sempre più entrati in un’epoca di incertezze sui nostri futuri, quello delle nostre famiglie, quello della nostra società, quello dell’umanità mondializzata…

“…Bisogna apprendere a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezza. Bisognerebbe insegnare dei principi di strategia, che permettano di affrontare l’inatteso e l’incerto e di modificare il loro sviluppo, grazie a informazioni acquisite strada facendo…”

Costretta a casa, mentre vivo la mia incertezza come essere umano e percepisco il vacillare dell’umanità intera, le parole di Morin acquistano un senso. Guardo a me come docente e al mondo della Scuola, già vacillante, che ora si destabilizza ulteriormente.

Proseguo nella rilettura, a distanza di anni, con una maggiore consapevolezza.

Ci stiamo cimentando nella DAD. Pur disorientati, incapaci, impreparati, inadatti, soli, ci stiamo provando tutti, con vari risvolti. Ora più che mai siamo chiamati a toccare con mano che “una testa ben fatta” è meglio che una testa ben piena, che abbiamo bisogno di una nuova generazione che sappia raccogliere le sfide di un mondo globalizzato, che sappia inventare nuove soluzioni a problemi sempre più complessi relativi alla sostenibilità ambientale nel senso più ampio del termine, che riguardano l’economia, il mondo del lavoro, il vivere insieme. Le nuove generazioni devono saper scegliere nuove strade, devono assumersi la responsabilità di un apprendimento permanente e possedere conoscenze e competenze elastiche necessarie a vincere le battaglie che, via via, si fanno sempre più difficili.

Nelle Indicazioni Nazionali del 2012 – parlo della secondaria di primo grado- nella Legge 107, nelle note ministeriali, una dopo l’altra, nei PTOF delle nostre scuole, si parla di Competenze Chiave – addirittura le certifichiamo –  di competenze trasversali, di  progetti comuni  relativi ai grandi temi dell’Inclusione, della Valutazione ecc.

Il cambiamento, però, è stato fittizio. Continuiamo a lavorare settorialmente, per discipline, a trasmettere e ricevere contenuti, a formare abilità. Abbiamo in sostanza cambiato i termini e adeguato il linguaggio nei documenti, ma non l’essenza del nostro lavoro.

La nostra prospettiva è sempre la stessa, la centralità dell’insegnamento continua a resistere e a vincere sulla centralità dell’apprendimento, e insegnare continua a significare realmente “riempire le teste”, trasmettere conoscenze, trasferire abilità.

Ora più che mai urge la presenza  e si avverte l’importanza della scuola. Occorre che gli insegnanti assumano il proprio vero ruolo, che è quello di educare e formare, non di informare e trasmettere.

Educazione alla comprensione, dice Morin, intesa come comprensione di sé e dell’altro, “che integrerebbe l’apporto delle scienze umane traendo lezioni di comprensione umana dalla letteratura, dalla scienza, dalla poesia”. Dovremmo attuare e insegnare l’etica del dialogo, la cooperazione, dovremmo essere portatori di cultura, concetto che “esige il superamento fra scienze e cultura umanistica”, che travalica la divisione per discipline.

Ora più che mai, costretti a casa, è ora di riflettere e progettare seriamente insieme, di ritrovare noi per primi l’etica del dialogo  rivalutando l’importanza della comunicazione e della cooperazione.

Dobbiamo cercare e trovare una visione di insieme, un progetto comune cui indirizzare tutto il tempo e le energie che stiamo “sprecando”.

Le sprechiamo noi docenti, davanti allo schermo con tutte le difficoltà del caso, a somministrare, ciascuno per proprio conto, compiti e test sugli angoli, su Napoleone Bonaparte, o sulla Guerra in Vietnam, (sono solo esempi) per completare i programmi – che non esistono più! –  della nostra disciplina.

Le sprecano loro, gli studenti, ovvero ogni singolo studente, impegnato a restituire compiti di tutte le discipline – mettiamoci nei suoi panni –

Abbiamo una grossa chance, una di quelle chance irripetibili: convogliare le energie di tutti in un progetto comune che abbia un senso, che sia scientifico, con obiettivi misurabili, un compito di realtà, trasversale, che ci faccia uscire dalle nostre “aule” virtuali,  dalle nostre “ore di servizio”, dalle nostre “materie”.

Proviamo a lavorare insieme a un unico Progetto Comune, individuando obiettivi seri, risultati attesi, metodologie, mezzi, e strumenti di valutazione misurabili che verifichino l’efficacia del nostro lavoro e , nel contempo la ricaduta sugli studenti. In qualunque scuola esistono le schede di progetto, compilatene una in modo vero, non automaticamente come per adempiere a una formalità.

Dobbiamo lavorare sui capisaldi (il Rapporto Delors è di quasi 25 anni fa): “imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere”.

E dobbiamo insegnare ai nostri studenti come si fa.

Proviamoci, ora che abbiamo tempo ed energie. Non perdiamo l’opportunità.

Questo esilio forzato è una chance irripetibile: è un momento in cui siamo tutti attenti, a “fare” e parlare di scuola, tutti davanti al pc.

Maria Giovanna Ferraro