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E io difendo il Ministro!

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Può sembrare strano questo titolo, dato che oggi va di gran moda l’antipolitica, lo sparlare sempre e comunque di chi ci governa e ci amministra. Ed io invece voglio essere obiettivo ed apprezzare anche quanto di buono fanno e dicono, qualche volta, i nostri politici.

E’ questo il caso della polemica sorta in data odierna tra il nuovo ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, e i sindacati della scuola, specie la Cgil e la Gilda, sempre pronti a difendere lo squallido egalitarismo che opprime da decenni i docenti italiani, tutti pagati allo stesso modo a prescindere totalmente dalla loro preparazione e dalle loro capacità. In un’intervista radiofonica la Giannini ha detto che i soldi destinati agli stipendi del personale scolastico sono non soltanto pochi, ma anche spesi male, perché “gli insegnanti italiani, rispetto a quelli dei Paesi europei avanzati, sono insegnanti che non hanno alcuna prospettiva di carriera, ma non solo nel senso di una progressione, di un avanzamento, ma nel senso di una differenziazione di funzioni.” Ed ha aggiunto anche che “se anche le forze sindacali spingono sempre e solo per salvaguardare il minimo garantito a tutti e non per valorizzare chi lavora meglio, quel poco che c’è non solo non serve a migliorare la qualità complessiva ma nemmeno a valorizzare le singole persone.”

Giudico sacrosante le parole del Ministro, che intendono denunciare la profonda ingiustizia che noi docenti viviamo, e non solo perché i nostri stipendi sono bassi, ma soprattutto perché non ci sono incentivi né riconoscimenti per il merito. Di fatto, se io anziché leggere e spiegare Omero, Virgilio e Seneca impiegassi le mie ore per fare amabili chiacchierate con i miei studenti, se commettessi errori madornali nella trattazione degli argomenti del mio programma, se anche mostrassi di conoscere le lingue greca o latina peggio dell’ultimo dei miei alunni, riceverei lo stesso stipendio di adesso, nessuno controllerebbe l’efficacia e la qualità del mio insegnamento. Prova ne è il fatto incontestabile che in ogni scuola, accanto ad una maggioranza di docenti preparati, bravi e coscienziosi, che lavorano molto più di quanto l’opinione pubblica crede e di quanto sarebbe il loro stretto obbligo, c’è molto spesso una minoranza di persone non all’altezza dei propri compiti, o perché assunte in ruolo senza alcun reale accertamento della loro preparazione (ope legis, ossia, in altre parole, con il “sei politico” sostenuto dai sindacati) o perché demotivati, assenteisti o incapaci di provare entusiasmo per il loro lavoro.

Quel che dice il ministro Giannini è giusto e condivisibile, ma sarebbe anche l’ora che alle parole seguissero i fatti. Come? Istituendo un serio criterio di valutazione delle scuole e dei singoli docenti, che preveda la valorizzazione anche (ma non solo) economica di chi s’impegna di più e di chi esprime un livello culturale e qualitativo eccellente rispetto ad altri colleghi; un sistema, peraltro, che preveda anche la retrocessione ad un grado inferiore di insegnamento o addirittura il licenziamento per chi occupa un posto e riceve uno stipendio che non merita. Un primo criterio da seguire, a mio giudizio, sarebbe quello di riconoscere una priorità a chi insegna le materie caratterizzanti un certo corso di studi, o che ha oggettivamente un carico di lavoro (come la correzione di elaborati scritti) maggiore rispetto a chi insegna discipline che non impegnano (o impegnano poco) il docente al di là delle ore frontali svolte in orario scolastico.

 Pur tuttavia, benché il Ministro si sia espresso in tal senso, sono quasi certo che di tutto ciò non si farà di nulla, e che il sistema “sovietico” che presiede ai nostri stipendi e che ci paga tutti allo stesso modo senza riconoscere i meriti individuali continuerà per sempre: lo dimostra, se non altro, la reazione stizzita alle parole del Ministro da parte dei sindacati ed in particolare del segretario della Cgil-scuola Mimmo Pantaleo e di quello della Gilda, Rino Di Meglio, i quali hanno ribadito generalizzando, come al solito, sui tagli effettuati alla scuola e sul mancato rinnovo dei contratti, che ovviamente ha penalizzato tutti. Ma il Ministro non ha detto che intende lasciare le cose come stanno, né che vuole penalizzare “i molti a vantaggio di pochi”, come afferma, con una malcelata nostalgia veterocomunista, il segretario della Cgil-scuola. E’ chiaro che lo stipendio deve essere dignitoso per tutti, su questo non c’è dubbio né la Giannini ha mai detto il contrario; è però necessario che i migliori vengano gratificati in qualche modo, anche per evitare che perdano entusiasmo e motivazione vedendosi parificati ai peggiori. E’ la stessa cosa che accade con gli alunni: promuovere chi non lo merita e dargli lo stesso voto di chi si è seriamente impegnato significa mortificare quest’ultimo e istigarlo al vagabondaggio. Sarebbe ora che i nostalgici delle vecchie ideologie sconfitte dalla storia si rendessero conto che le persone non sono tutte uguali, che i cittadini non sono solo sudditi dello Stato ma hanno anche la legittima aspirazione a realizzarsi indidualmente, e che la meritocrazia è l’unico strumento in grado di far funzionare al meglio ogni settore della società, a maggior ragione quello della scuola e della formazione.