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Educare al tempo dei social e dei videogiochi. Le tecnologie sono ponte o prigione dell’infanzia?

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Riceviamo e pubblichiamo un articolo a firma del dirigente Giovanni Cogliandro e della docente Giorgia Capparucci.

In questi ultimi anni è possibile osservare come le nuove tecnologie stiano trasformando il modo in cui i bambini si relazionano con il mondo. I vari strumenti digitali messi a loro disposizione costituiscono sicuramente un grande potenziale ma spesso, se usati in modo eccessivo e non guidato, possono creare squilibri importanti nella loro crescita.

Da educatori non possiamo esimerci dal rilevare quanto i bambini fatichino ad affrontare la frustrazione per queste continue tecnomutazioni che modificano la loro percezione del mondo circostante. Lo vediamo negli alunni della scuola primaria, sempre più impazienti, sempre meno capaci di tollerare l’attesa o di dedicarsi con calma ad un compito che richiede attenzione.

I bambini sembrano sempre più abituati a risposte veloci, a stimoli continui e a gratificazioni istantanee. Faticano a gestire l’errore e si arrendono facilmente di fronte ad un compito complesso: sembrano del tutto abituati all’immediatezza con cui tutto viene loro proposto attraverso i videogiochi e i social network e questo rende difficile per loro accettare che la realtà non sia esattamente così. Quando si chiede loro di scrivere un testo o di inventare una storia, spesso riportano scene ispirate ai videogiochi testimonianza del fatto che la fantasia, libera e personale, quella che nasce dall’esperienza, dallo studio e dalla lettura, sembra essersi affievolita.

Anche nei momenti di gioco libero e di pausa, invece di far spazio alla loro creatività o rilassarsi, i bambini cercano stimoli continui e manifestano difficoltà nel gestire la noia e l’attesa.

In particolare è possibile notare il senso di frustrazione e di impotenza che certi videogiochi possono causare. Durante il gioco virtuale, infatti, il fatto che i bambini pensano di essere attivi partecipatori ma in realtà sono solo passivi, unito al fatto che spesso non riescono a far compiere al personaggio del gioco le azioni che potrebbero compiere loro nella vita reale, genera in loro un senso di impotenza che sfoga in rabbia e aggressività che si manifesta nei comportamenti, sia a casa che a scuola. A ciò si aggiunge anche il rischio di fuga dal mondo reale. L’eccessivo tempo passato davanti agli schermi sottrae tempo e spazio alla vita concreta, al gioco vero, alle relazioni concrete, agli hobby e allo sport. I bambini perdono interesse per le cose reali, le passioni si affievoliscono e la curiosità per il mondo si riduce.

La realtà con i tempi più lenti e con la sua complessità diventa meno attraente rispetto alla facilità e alla velocità offerte dal mondo digitale.

Anche i social network giocano un ruolo fondamentale nell’alimentare l’illusione di essere costantemente connessi in un mondo che però si rivela superficiale, privo di profondità e significato.

Nel mondo dei social network tutto è perfetto, veloce e esteticamente accattivante perché la realtà viene filtrata e abbellita, i bambini osservando questi modelli, iniziano a desiderare qualcosa che non esiste, cioè, una vita senza errori, senza lentezze e senza difficoltà.

Custodire i sensi e il cuore

Molto spesso i genitori, inconsapevolmente, rinforzano questo schema. Dietro queste situazioni si cela il rischio di non cogliere l’importanza delle fasi di crescita fondamentali dei bambini; infatti, alcuni sembrano più grandi della loro età, parlano di temi che non dovrebbero appartenergli, sembrano bruciare tappe importanti della loro crescita.

La dipendenza da tecnologie, videogiochi e social, non è solo una questione di tempo di utilizzo ma è legata al significato che si dà a quegli strumenti: quando diventano un rifugio, un’alternativa alla realtà, una fonte esclusiva di piacere e gratificazione, si toglie spazio alla vita reale, si rallenta la maturazione, si impoverisce la capacità di pensiero critico e di relazione.

Riteniamo sia necessario formarci sempre di più come docenti e dirigenti scolastici nell’essere testimoni di come custodire i nostri sensi e il nostro cuore, proteggendoli dall’assalto di chi li vuole riempire con oggetti oppure con desideri di desideri ulteriori, lasciandoci vuoti a inseguire vani appetiti che mai sostituiscono l’incontro di uno sguardo vero, di un amico, di un genitore, della persona che si ama.

In un mondo che corre veloce, che premia la prestazione e l’apparenza, la scuola può con semplicità e pienezza impegnarsi ad essere un luogo in cui i bambini possano rallentare, scoprire e approfondire. Uno spazio dove la custodia dei sensi e del cuore si nutrano con l’ascolto, e dove la riflessione e lentezza abbiano ancora valore.

In particolare la scuola primaria può essere luogo di sperimentazione di vecchie e nuove pratiche didattiche indirizzate a imparare dalla testimonianza concreta – ad esempio degli artigiani, degli artisti, degli scrittori, come abbiamo fatto presso il nostro Istituto in quest’ultimo anno scolastico – che non tutto si ottiene subito, che l’errore fa parte della crescita e che le relazioni vere richiedono tempo, cura e dedizione.

È fondamentale che gli adulti che si trovano nella scuola si confrontino con le famiglie sul senso dell’educazione come percorso fatto di tappe, pazienza e libertà di sbagliare, con l’obiettivo di far diventare i bambini degli adulti capaci di affrontare le difficoltà, di desiderare in modi non compulsivi, di gustare ciò che hanno davanti, in primis le persone, gli sguardi, il contatto con la realtà, e quindi di immaginare per poter vivere pienamente la propria realtà.