
Il dibattito sul perimetro d’azione della scuola in materia di educazione all’affettività e alla prevenzione della violenza di genere torna ciclicamente, quasi a sollevare un’obiezione di principio: dove finisce la responsabilità della famiglia e dove inizia il mandato dell’istituzione formativa? Ritengo che tale demarcazione non solo sia obsoleta e pericolosa, ma tradisca una visione riduttiva e statica del ruolo sociale e culturale dell’istituzione scolastica. La scuola non è un’isola neutrale, ma un ecosistema formativo in cui si negoziano i valori della società.
La scuola, oggi, non è più l’unica o l’ultima agenzia formativa; è l’unica agenzia che agisce in nome e per conto della Repubblica, garantendo l’accesso universale a strumenti di pensiero critico e di cittadinanza attiva. Se il nucleo familiare è il luogo dove spesso si sedimentano e si riproducono in modo acritico gli schemi culturali (inclusi gli stereotipi di genere) – quelli che chiamiamo “eredità domestica” – la scuola è l’unico laboratorio pubblico deputato alla loro decostruzione ragionata. La nostra missione non è sostituirci ai genitori, né sovvertire le loro scelte etiche, ma garantire che il processo di crescita di ogni studente sia guidato dai principi di eguaglianza e autodeterminazione sanciti dalla Costituzione. Quando si manifesta un deficit educativo in materia di rispetto, consenso e gestione dei conflitti, la scuola ha non solo la facoltà, ma il dovere etico e istituzionale di intervenire per sanare quella che è a tutti gli effetti una falla nella formazione integrale della persona. L’inerzia di fronte a tali carenze equivarrebbe a negare agli studenti il diritto a una piena competenza civica ed emotiva, fondamentale per la loro vita futura e per la coesione sociale.
L’errore fondamentale sta nel confinare l’educazione al rispetto e all’affettività in ore extracurricolari, in moduli occasionali o, peggio, nel relegarla a momenti di emergenza post-evento. La vera trasformazione culturale, quella che incide profondamente sulle strutture cognitive e comportamentali degli studenti, avviene quando la “grammatica del rispetto” si innesta stabilmente nel curricolo verticale, diventando una lente critica e trasversale attraverso cui si leggono tutte le discipline. Ciò significa che la scuola deve andare oltre la narrazione dei fatti e dei grandi uomini, focalizzandosi in Storia e Letteratura sull’analisi critica dei rapporti di potere, delle narrazioni di genere che hanno plasmato le società e sulle figure storiche femminili spesso dimenticate. Nelle Scienze e nelle Attività motorie è fondamentale utilizzare la biologia, e quindi anche la conoscenza del corpo, per smantellare i miti sulle presunte “debolezze” o “vocazioni” innate dei generi, promuovendo il corpo come strumento di consapevolezza e non di limitazione. Infine, è cruciale dedicare spazio in Diritto ed Economia per insegnare il valore legale del consenso, della parità salariale e delle tutele contro la discriminazione, fornendo una bussola etica e giuridica per la vita adulta. L’approccio deve essere sistemico: ogni disciplina è chiamata a contribuire alla formazione del cittadino rispettoso.
Per far ciò, è imprescindibile investire in modo massiccio e continuativo sulla formazione obbligatoria del corpo docente. Non è sufficiente l’autoformazione o l’interesse individuale. Non possiamo chiedere agli insegnanti di gestire dinamiche emotive complesse, di facilitare discussioni delicate e di decodificare l’implicito culturale degli studenti senza fornire loro strumenti di analisi psicopedagogica, metodologie didattiche attive e una certificazione di competenza relazionale. Questa formazione deve includere la gestione delle resistenze in classe, l’uso di linguaggi inclusivi e la capacità di mediare tra diverse sensibilità culturali e familiari, trasformando la classe in un ambiente sicuro per l’espressione e il confronto.
Il punto più delicato e controverso riguarda il veto parentale su temi come l’educazione sessuale e affettiva, un fenomeno che spesso nasconde una paura non del contenuto, ma della perdita di controllo sulla narrazione educativa dei figli. Il timore che la scuola possa imporre una visione del mondo è legittimo e deve essere affrontato con la massima trasparenza, non con la ritirata istituzionale. Tuttavia, dobbiamo affermare chiaramente che l’educazione al rispetto non è una questione di ideologia o di opinione, ma di sicurezza, legalità e salute pubblica. Negare a un minore gli strumenti cognitivi per comprendere il proprio corpo, i propri confini, le proprie emozioni e i meccanismi del consenso, significa di fatto lasciarlo vulnerabile al rischio di subire o agire violenza, minando il suo diritto all’integrità.
La scuola deve quindi assumere un ruolo proattivo e non difensivo: dialogare costantemente con le famiglie illustrando i piani di prevenzione (il perché si educa) e i quadri normativi di riferimento (il come si educa), trasformando la potenziale obiezione in un’occasione di alleanza educativa basata sulla condivisione di un unico obiettivo finale: formare adulti capaci di libertà critica e responsabilità etica. La priorità assoluta e non negoziabile non è tutelare la sensibilità del singolo genitore di fronte a temi scomodi, ma il diritto inviolabile del minore a crescere in un ambiente informato, sicuro e conforme ai principi di una società democratica e inclusiva. È su questo mandato di libertà civica e tutela del futuro che la scuola deve fondare la propria ineludibile architettura del rispetto, senza indugi.
A conclusione di questa riflessione, è fondamentale richiamare la saggezza di un grande maestro della pedagogia italiana, Giancarlo Cerini, che definì la scuola come il “luogo pubblico di negoziazione e decisione”. Questa frase riassume l’essenza stessa della sfida educativa contemporanea. La scuola non è solo l’ambiente in cui si apprendono nozioni, ma il crocevia dove le diverse istanze (familiari, sociali, individuali) si incontrano per definire, democraticamente e alla luce dei principi costituzionali, il progetto di crescita del cittadino. La “negoziazione” richiede l’ascolto e la trasparenza verso le famiglie; la “decisione”, tuttavia, spetta all’istituzione, che deve agire con rigore scientifico e etico per garantire l’interesse superiore dello studente e la formazione di una società matura. Accettare il nostro ruolo di mediatori attivi e decisori responsabili significa onorare il mandato pubblico della scuola e costruire, mattone dopo mattone, un’autentica architettura del rispetto e della libertà.




