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Educazione civica va bene, ma ci vuole qualcosa di più, mezzo secolo fa Piaget parlava di educazione internazionale

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Agli inizi degli anni ’70 a Jean Piaget venne chiesto dall’Unesco di collaborare alla stesura del Rapporto sulle strategie dell’educazione. Lo scienziato ginevrino accolse l’invito consegnando un testo che venne poi tradotto in Italia con il titolo “Dove va l’educazione”.
L’ultimo capitolo del libro parla del tema, quanto mai attuale, della Educazione Internazionale.

Piaget osservava che la scuola non può limitarsi a trasmettere conoscenze ma deve porsi obiettivi educativi profondamente sociali, mirando al pieno sviluppo della personalità, promuovendo il rispetto dei diritti umani e soprattutto favorendo la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni e i gruppi.

Egli, però, non si nascondeva il fatto che costruire un’educazione che raggiunga effettivamente questi scopi internazionali presenta sfide delicate.
Non si tratta solo di impartire lezioni sulla pace o sulle istituzioni internazionali, sottolineava Piaget, perché un approccio puramente verbale o una semplice “istruzione civica” sistematica potrebbero rivelarsi inefficaci, o addirittura dannosi, se non preceduti da un’attività di natura morale e sociale più profonda. Imparare solo dai libri o dalle lezioni, senza un’esperienza sociale a supporto, rischia di essere insignificante.

La difficoltà principale risiede nella natura stessa del pensiero umano e nella sua tendenza a confrontarsi con le relazioni sociali e internazionali con una sorta di “miopia”.

Secondo lui, infatti, ci sono almeno due ostacoli psicologici che si oppongono a questo progetto: l’egocentrismo e il sociocentrismo.

L’egocentrismo è un atteggiamento spontaneo e radicato nella coscienza individuale, una sorta di prospettiva primitiva che rende difficile decentrarsi e considerare punti di vista diversi dal proprio. Il sociocentrismo è, in un certo senso, un ritorno a una forma di egocentrismo, ma a livello collettivo, dove l’individuo aderisce acriticamente ai simboli e agli atteggiamenti del proprio gruppo sociale o nazionale, accettando le pressioni collettive e le illusioni prospettiche che ne derivano.

Questi atteggiamenti rendono arduo comprendere la realtà sociale e internazionale in modo obiettivo.

Secondo Piaget l’educazione internazionale dovrebbe permeare tutto l’insegnamento. Discipline come storia, geografia, lingue, letteratura e scienze dovrebbero essere insegnate in modo da evidenziare l’interdipendenza delle nazioni, lo sforzo comune dell’umanità e il ruolo dei conflitti sociali e delle tecniche. Questo approccio mira a sviluppare uno spirito di comprensione e tolleranza.

Inoltre, è fondamentale ricorrere a metodi attivi che mettano in valore il lavoro di gruppo (in équipe) e l’autodisciplina degli studenti. L’esperienza della vita sociale, anche non organizzata, tra gli studenti può estendersi agli scambi internazionali e ai gruppi di studio sui problemi globali. Procedure attive come scambi epistolari, club di mutuo soccorso, gruppi di viaggio e ricerca di gruppo su aspetti della vita internazionale sono considerati validi.

La chiave è promuovere la libertà di critica e la capacità di confrontarsi con la molteplicità dei punti di vista.