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ESCLUSIVA – Intervista al prof assunto a 67 anni: colpa delle scuole private, ma sono felice

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Ha iniziato a fare supplenze appena diplomato, ma per una serie di circostanze avverse ha coronato il sogno dell’immissione in ruolo 47 anni dopo. A tre anni dalla pensione.

Il docente, Antonio Chiumiento di Pordenone, classe 1949, noto nella zona perché esperto di ufologia, oggi insegna Economia nelle scuole superiori della provincia di Udine. Non molto distante dalle Alpi Carniche e dal confine austriaco.

In questi giorni si è parlato di lui in tutta Italia: del resto, essere assunto dopo una gavetta infinita, a quasi 67 anni, li compirà a metà marzo, è un record difficilmente attaccabile.

Lui, comunque, a sentirlo parlare, con quell’indistinguibile accento friulano, sembra guardare la vicenda in positivo. Anche se la scuola dove è stato assegnato dista 100 chilometri da casa.

 

Professor Chiumiento, se l’aspettava?

Lei non ci crederà, ma fino all’estate scorsa la mia assunzione non era nemmeno immaginabile. Ero rassegnato ad insegnare solo facendo le lezioni private.

 

Perché?

A giugno, l’Ufficio scolastico di Udine mi aveva cancellato dalle graduatorie ad esaurimento. Mi chiamano e mi dicono: lei non può stare più nelle GaE, perché ha appena compiuto 66 anni e 3 mesi.

 

E lei come l’ha presa?

Non l’ho presa bene. Col mio avvocato, Cosimo Calabrò, abbiamo fatto di tutto per spiegare all’amministrazione che la norma non poteva applicarsi al mio caso.

 

Per quale motivo?

Perché non ero in possesso dei 20 anni di contributi utili ad avere la pensione. È vero che ho iniziato a fare supplenze da giovanissimo, già nel 1968, ma dopo tre anni sono partito per il militare. E quando sono tornato, sono stato attanagliato dai problemi familiari. E mi sono avvicinato alle scuole private: è stato il mio più grande errore, perché solo decenni dopo ho scoperto che non mi pagavano i contributi previdenziali.

 

Per questo il giudice le ha dato ragione?

Certamente. Il tribunale di Udine ha emesso un’ordinanza di immediato reinserimento nelle graduatorie, in tempi anche brevi. E l’avvocato ha fatto il resto, scrivendo e tempestando il Miur di telefonate per farmi assumere.

 

E poi?

L’Ambito territoriale mi ha convocato, lo scorso 18 gennaio, per immettermi in ruolo con due mesi di ritardo, attraverso la fase C del piano di riforma. Sono stato assegnato all’Isis Fermo Solari di Tolmezzo, praticamente a 100 chilometri da dove vivo.

 

Ma è una distanza enorme?

Diciamo che sono ‘allenato’: ero in servizio, come supplente, comunque a 70 chilometri da casa, alll’Isis Marchetti di Gemona. E in questo istituto superiore rimarrò sino alla fine di quest’anno scolastico.

 

Ma alle soglie dei 70 anni, non le sembra troppo fare così tanti chilometri ogni giorno?

No. Mi organizzo con le corriere e non mi pesa. La verità è che a me è sempre piaciuto insegnare. È la mia passione.

 

Come ha iniziato?

Era l’ottobre del 1968. Mi chiamò il preside della scuola dove mi era diplomato, l’Istituto Mattiussi di Pordenone: erano altri tempo e c’erano tante cattedre vuote. Il dirigente mi disse se avevo voglia. Passai gli anni scolastici più belli della mia vita: feci supplenze di Ragioneria, Matematica, Tecnica mercantile e Geografia economica. Poi, però, nel 1973 dovetti lasciare per via del militare.

 

E quando tornò dalla leva?

Subentrarono dei seri problemi in famiglia, non potevo più lavorare con continuità. Però nello stesso tempo dovevo lavorare per mantenermi. Iniziai pure l’Università, facoltà di Economia e Commercio: andavo a Trieste, non proprio vicina, visto che tra andata e ritorno dovevo fare almeno quattro ore di viaggio.

 

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Quando ha saputo che le scuole private non le pagavano i contributi?

Quando ho tentato di prendere l’abilitazione, nel 2000, con il concorso riservato: l’allora Provveditorato agli studi mi disse che quei certificati non erano validi.

 

E allora?

Provai ad approfondire, ma potrà immaginarne l’esito.

 

Però non si è rassegnato?

No. E una volta accumulati i giorni di supplenza, ci ho riprovato e sono finalmente riuscito ad abilitarmi nell’ambitissima A017.

 

Lo sa che lei vanta anche un altro record: quello di aver saputo quando andrà in pensione prima ancora di essere assunto?

È vero: lascerò il servizio a 70 anni, il 31 agosto 2019.

 

Ha delle aspettative per i tre anni di insegnamento che le rimangono?

Sì. Vorrei fare finalmente in serenità il mio lavoro di insegnante.

 

Però gli studenti di oggi non sono più quelli degli anni Sessanta?

Anche questo è vero.

 

In cosa sono diversi?

Non vorrei fare del qualunquismo, ma in generale rispettano meno il ruolo dell’insegnante. Lo vedono più come persona che come docente.

 

Quindi, potremmo dire che negli ultimi decenni i prof hanno perso autorevolezza?

Esattamente. Non voglio accusare nessuno, però gli allievi oggi sono figli di una società profondamente cambiata: hanno tutto a disposizione, con estrema facilità. Basti pensare agli smartphone.

 

Che c’entrano gli smartphone?

C’entrano, eccome se c’entrano. Io faccio una fatica enorme a chiedere l’attenzione degli studenti, perché non sanno staccarsi dal telefonino più di qualche minuto. E anche la scuola non riesce sempre ad imporre le regole per non far utilizzare questi dispositivi perennemente on line.

 

Forse si dovrebbero coinvolgere le famiglie. O pure loro sono cambiate?

Purtroppo è una battaglia persa. Quasi sempre, i genitori sono i più fervidi difensori dei loro figli. Anche quando sono indifendibili.

 

Professore, dica la verità: non è che tutte queste disavventure per arrivare al ruolo l’hanno ‘indurito’, facendolo diventare un nostalgico?

No, non c’è questo pericolo. Le sembrerà strano, ma in me oggi prevale più la gioia che l’amarezza. Credo sia ammirevole quello che ho fatto. Perché insegnare è il mestiere più bello del mondo.

 

Allora, auguri professore!

Grazie e a presto.

 

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