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I docenti non siano come tutorial. Non devono incutere timore ma neanche svilirsi facendo da insulsi intrattenitori

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Ieri, 5 ottobre, com’è noto, è stata celebrata la Giornata mondiale del docente. I vari media e personaggi influenti hanno ricordato l’importanza del ruolo degli insegnanti nella società. È arrivato immancabilmente anche il messaggio dell’attuale Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Quest’ultimo ha ampliato il suo pensiero in un breve video concesso alla Tecnica della Scuola, andato in onda durante la nostra diretta intitolata “È tempo di dire grazie a…“.

C’è da dire che molti docenti, però, non si sentono per nulla gratificati a dovere, anzi. Questo è il sentimento del docente, archeologo e giornalista Manlio Lilli, che ha riflettuto sul senso della Giornata affidando i suoi pensieri a Il Fatto Quotidiano.

Il senso di impotenza di un insegnante nella giornata a lui dedicata

Lilli ha raccontato cosa ha provato nel momento in cui ha tentato di discutere con i propri alunni sul tema della Giornata mondiale del docente: “Ho provato ad animare una discussione. Cercando di suggerire qualche considerazione. Un qualsiasi pensiero sul tema. Verificato che nessuno aveva voglia di intervenire, ho preso il libro di Letteratura ed ho iniziato la lezione. Con una buona dose di tristezza, per il tentativo fallito. Mentre spiegavo il Cantico delle Creature di san Francesco, cercando di coinvolgerli, ho pensato. A quel che avevo detto ai ragazzi. E poi ho ripensato alle parole del ministro e al tema della Giornata, ‘la leadership degli insegnanti’. Lo confesso, mi sono sentito solo. E davvero molto poco, ‘persona di riferimento’. Naturalmente è più che probabile che sia una questione soggettiva”.

Ecco una riflessione più ampia sul ruolo degli insegnanti oggi: “Per essere un riferimento è necessario essere autorevoli. Ad esempio che il proprio giudizio, finale, sul percorso di una alunna oppure di un alunno abbia un peso. Un 4 non può trasformarsi, se non eccezionalmente e con fondati motivazioni, in un 6, quasi d’ufficio. In caso contrario, l’insegnante viene delegittimato. Privato di ogni credibilità. Non più arbitro, con potere decisionale, ma spettatore. Per insegnare la libertà e la responsabilità sarebbe necessario che la scuola la smettesse di guardarsi intorno e riiniziasse a riflettere su sé stessa. Piuttosto che essere un po’ di tutto, ritornasse ad occuparsi dei fondamentali. Che continuano a fare la differenza, nonostante tutto. Saper pensare e riuscire a scrivere un buon tema nel quale i verbi siano coniugati a dovere e la punteggiatura utilizzata correttamente. Allenare la logica in modo che nessun problema risulti insolubile. Conoscere almeno le province dello Stato del quale si è cittadini. Avere una qualche consapevolezza del paesaggio nel quale ci si muove. Leggere e informarsi. Accettare le regole del vivere civile, in comunità. Questo aiuta a formare persone libere e responsabili”.

Docenti meri dispensatori di conoscenze?

Lilli ha poi cercato di ricollegarsi con le parole di ieri del Ministro Bianchi: “Avere questi obiettivi per i ragazzi, rimette l’insegnante al centro del progetto educativo. Gli restituisce un ruolo che non ha più, in troppi casi. Il ministro Bianchi ha ragione, ma solo in parte. Gli insegnanti non possono essere solo dispensatori di sapere e conoscenza. Ma nemmeno abbandonare questo ruolo”.

“La crescita auspicata passa anche dal sapere e dalla conoscenza. Naturalmente trasmesse con i corretti accorgimenti e le necessarie prescrizioni. Evitando di trasformarsi in tutorial. In facilitatori di ogni difficoltà. La figura dell’insegnante non deve incutere timore, ovviamente. Ma neppure svilirsi in quella di un insulso intrattenitore. Perché se si verifica questo caso a soccombere non è soltanto il docente, ma anche la classe. Insomma i ragazzi. Le celebrazioni non mi piacciono quando risultano vuote. La festa di un giorno in un mare di nulla. Costruito da decenni di politiche sbagliate. Di riforme scriteriate. Per questo dietro la lavagna ho scritto ‘Evviva gli insegnanti. Abbasso la scuola’. L’ho scritto, in nome della libertà e della responsabilità. Alla fine delle lezioni, quando i ragazzi erano usciti”, ha concluso con amarezza Manlio Lilli.