Home I lettori ci scrivono Il governo che non c’è di un paese che non c’è

Il governo che non c’è di un paese che non c’è

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Non c’è che dire, siamo in piena restaurazione. Non dico controriforma per ovvie ragioni: perché si sta continuando a dar credito alle nefandezze ormai consolidate da venticinque anni in qua. E dunque, piaccia o meno questa è una restaurazione. Dei poveri. A volte ritornano anche se non erano ministri, della serie si torna sempre sul luogo del delitto, infatti Valditara fu il relatore di maggioranza della riforma dell’università durante il governo Berlusconi (con Mariastella Gelmini a capo del Ministero dell’Istruzione). Un ‘ministro per il Merito’, nuova dicitura per il dicastero, sembra proprio un passo indietro rispetto a qualsiasi teoria dell’emancipazione che si è succeduta in questi decenni. In un sistema socio-economico che produce, per sua costituzione e non per sua eccezione, solo diseguaglianze, discriminazioni ed esclusioni o inclusioni solo sulla carta (Eh! Dobbiamo dirlo) ci siamo col tempo convinti che chi è vittima del sistema deve dare la colpa esclusivamente a se stesso e non al sistema. La solita logica capitalistica e globalistica che è risucchiata nel neoliberismo sfrenato di maniera. Così la povertà diventa ‘responsabilità’ di chi è povero e non del sistema di un Paese assolutamente privo di ascensore sociale come è il nostro ormai da molto tempo.

La scuola, questa nostra sconosciuta. La nomina di un ministro per l’ “Istruzione e il Merito” segna culturalmente per me un passo indietro su – possiamo dirlo senza essere insultati dai perbenisti di turno? – due secoli di teorie dell’emancipazione e di riconoscimento. E non lo dico per quelle colossali balle fatte passare negli ultimi anni come ‘inclusione’ dai diversi governi e dai finti di sinistra riguardo l’istruzione, lo dico proprio perché il “merito” messo a sistema è rimasto nella vulgata collettiva come una delle più potenti ideologie di oppressione sociale contemporanee. In un sistema socio-economico che produce come si diceva per sua norma e non già eccezione  diseguaglianze strutturali, discriminazioni ed esclusioni e/o false inclusioni se non solo linguistiche, ci si è col tempo convinti tutti che chi ne fosse vittima in fondo era esclusivamente per colpa sua e non del sistema. Proprio per questo neoliberista motivo la povertà è diventata responsabilità di chi è povero e non di un sistema che non investe più, nel pubblico e nel privato, attraverso strategie di occupazione stabile, in politiche welfariste adeguate e non in inutili bonus etc. Un mondo decisamente al contrario, dove quanti nascono benestanti non hanno alcuna responsabilità sociale, perché loro hanno il merito iscritto nel DNA, hanno “meritato” un diritto di nascita che consente loro di sfruttare capitale economico, culturale e relazionale da quando nascono a quando trapassano. Così è per le donne che devono dimostrare di “meritare” un posto al tavolo che prima era riservato solo agli uomini, così è per i figli di esimi sconosciuti che non possono accedere a qualcosa di diverso da quello che è loro riservato. Siamo tornati in breve tempo alla cultura cetuale. È così che manager totalmente fallimentari, non si sa come né perché, “meritano” buone uscite miliardarie se fanno fallire aziende con migliaia di lavoratori riciclandosi tra pubblico e privato giusto quando diventano troppo imbarazzanti o per l’uno o per l’altro mondo.

Cari ex compagni di strada, mi perdonerà Bertolt Brecht, è sempre e solo così che si è costruita la narrazione ideologica secondo la quale chi lavora sodo ce la fa, il self made man. Una assoluta vergogna sotto ogni punto di vista. Ogni anno che passa il divario aumenta e aumenta. Non basta una vita di sacrifici per ambire a una vecchiaia tranquilla o per arrivare “da qualche parte”, il merito è la favola dei privilegiati venduta a basso costo a quanti non lo sono prendendoli un po’ per i fondelli perché imbevuti della favola che solo attraverso il “merito” puoi sperare di diventarlo. Solo competendo, diventando più brutto dentro e accettando la logica della conquista ad ogni costo, solo così emanciperai. Non lo sai baby che nel nome del merito si devono trascurare le relazioni, la salute, l’ umanità, il benessere psicologico? Tu sei solo una mucca che deve produrre latte. Se poi ti rimane qualcosa, beh meglio per te.

A smontare questa bieca ideologia bastano i dati di un paese come l’Italia, totalmente privo di ascensore sociale: cari benpensanti della buon’ora (anche voi che di sinistra non avete più nulla) l’italia è ultima in Europa per spesa in istruzione, non assume ormai quasi più nella pubblica amministrazione quanto dovrebbe oppure servirebbe, non fa altro che disincentivare il lavoro femminile, condanna le giovani generazioni a cercare lavoro o fortuna all’estero o ad accontentarsi di prestazioni a basso costo con contratti a termine perché, come qualche genio a sinistra disse, ” meglio lavorare poco che non lavorare”. E per questo giunse la legge Biagi che autorizzo’ una quantità di contratti atipici che fecero col tempo proliferare la disoccupazione e la precarizzazione. In questa dannata Italia si laureano in grande maggioranza solo i figli dei laureati e il loro numero complessivo è anch’esso fra gli ultimi in Europa. Mentre i laureati hanno più speranza, senza essere una certezza, negli anni di accedere almeno a redditi medi, c’è  da dire ahimè che non bastano dieci anni o più per ripagarsi i costi di affitti, libri, spese. Gli ostacoli sono tutti sulla strada dello sviluppo umano ormai compromesso.

In una società libera dovrebbero esistere diritti e doveri di ognuno, singolarmente e come collettività. Il merito è al contrario, come il mondo che lo ha creato, di coloro che hanno “meritato”, potremmo dire ‘ereditato’ un cognome o che hanno “meritato” per altre strade una grande botta di fortuna ma che nello stesso tempo giustificano diseguaglianze, povertà, esclusione sociale e infelicità. Perchè lo sappiamo, il mondo non è per tutti è solo per alcuni. Ci sarebbero altre strade, ovviamente, ma è da molto che solidarietà e giustizia non albergano più nel nostro dizionario per far posto a inclusioni solo sulla carta e modalità  linguistiche politically correct assolutamente fantascientifiche che non spostano il problema dalla forma alla sostanza. Questa via non c’è in questo governo come non c’è stata ne’ in  quello dei migliori ne’ in quelli che si sono proclamati di sinistra senza esserlo più. Nessuno ha pensato, a parte blandire il merito come “il sogno di una cosa” (Marx docet), che le società necessitano di mobilità e ascensore sociale. Altrimenti stagnano.

Ferdinando Sabatino